Economia della Conoscenza

Maurizio Costanzo, quando la popolarità diventa calore sociale

Scritto il

di Claudio Brachino

Era successo già con la morte drammatica di Simoncelli. Ero in diretta con il grande Guido Meda quando accadde, ma poi con il passare delle ore l’onda emotiva attraversò tutto il paese. Non era celebre e non era ancora un pilota affermato ma in quel ragazzo autentico, in quel padre innamorato la gente vide dei valori collettivi in cui identificarsi. È successo di nuovo con il lungo saluto alla Carrà e ora con Costanzo.

Una commozione della gente, non solo del più o meno devoto mondo della tv. L’assenza cristallizza evidentemente il senso di quella che noi chiamiamo popolarità, uno specchio non solo catodico per ritrovare un po’ di calore sociale. E non c’era nella sua lunga e frastagliata carriera solo il programma del Parioli, di cui si è parlato a ragione ma forse in modo troppo esclusivo.

Quando il suo show era un cult della tv, mi invitava raramente. Ero un giovane vicedirettore del tg di Italia1, anchor di punta e presunto belloccio, così dicevano i surreali sondaggi dell’epoca. È che quelli troppo alti non gli piacciono, mi disse una volta Pippo Baudo a cena a Montecatini dopo essere stato in un suo programma, ma ho pensato che fosse soprattutto una sua confessione.

Invece poco dopo, all’epoca di Buona Domenica, ero spesso in studio, credo più nella categoria dei belli presunti che dei giornalisti. Mentre fra di noi pensiamo sempre arbitrariamente di essere uno più bravo dell’altro, lì nella lunga kermesse pomeridiana festiva c’era sempre qualcuno oggettivamente meglio di te. Ferite del Narciso a parte, non mi pento di quella lezione di semplicità, di popolarità appunto.

Nelle ricostruzioni storiche di queste ore, è un po’ sfuggito quanto Maurizio amasse quel viaggio di sei ore nelle case degli italiani, lui seduto nella prima fila degli ospiti, qualche volta in scena ma soprattutto regista unificante del caos di balli, musiche, sketch, quiz, gossip e provocazioni.

Il politically correct benedice giustamente il Costanzo show, ma quello era il suo personale cordone ombelicale con la gente. Non sapevo che il destino mi avrebbe visto direttore della domenica di Canale5 per i dieci anni successivi. Maurizio avrebbe voluto fare un programma con la mia ex testata, Videonews, ne parlavamo spesso nel suo ufficio a Roma. Io mangiavo la pasta fredda e lui parlava delle sue idee, lucido e instancabile. Ogni volta una tartarughina in regalo e quando gli dicevo che le avevo perse si arrabbiava ma me ne dava delle altre. Ne conservo alcune, ormai amuleto della sua assenza.

Il programma che voleva fare era Viaggio in Italia, tratto dal monumentale libro di Piovene del 1957. Dopo aver letto quelle 900 pagine buttai giù una specie di format, ma era complesso, lui voleva andare regione per regione, e ogni volta cambiare i conduttori. Controproposi sei puntate del Costanzo show a Lampedusa, con sei reportage simbolici dell’Italia di oggi alle prese con i migranti e molto diversa da quella del dopoguerra descritta da Piovene, ma non se ne fece nulla, peccato.

Nel 2020, appena uscito da Mediaset, pubblicai un libro sulla disuguaglianza ma ancora una volta, forse per un’antica coazione a ripetere, non fui invitato sul suo palco ambito. Mi intervistò in radio e si soffermò sulla dedica ai miei genitori appena persi. A Orlando e Irma, che avevano fretta di ritrovarsi lassù. Molto bello Claudio…. molto bello, mi disse. In quella lieve ma anche lunghissima pausa c’era forse il mistero della morte.

E ora che anche lui è lassù, siamo tutti più poveri, come se avessimo perso all’infinito un grande padre.