Economia della Conoscenza

Un museo per l’arte del Bonsai

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di Patrizia Cazzola

Antefatto. Genova 1959. Luigi Crespi, vivaista e paesaggista, è nella città ligure per comprare orchidee e si imbatte in tre piante di proporzioni ridotte, ma perfette: un pino, un’azalea e un ginkgo biloba. Sono tre bonsai (la parola significa pianta in vaso) e arrivano dall’Estremo Oriente. Li prende, senza sapere bene come si curano.

Parabiago, una trentina di chilometri da Milano, dagli anni ’70 al 1991. Crespi e la moglie Luisa hanno un loro Garden Center con vivaio. Appena possibile, visitano vari paesi in Oriente e lì, dove i bonsai sono “di casa”, se ne innamorano. La svolta è un viaggio in Giappone che fa scoprire a Crespi tutto il fascino dell’arte e della cultura di cui i bonsai sono un’espressione. Al ritorno, è il 1979, diventa il primo importatore di bonsai in Italia e nasce l’azienda Crespi Bonsai.

Col tempo il garden center si specializza, si propone come luogo d’incontro tra la nostra cultura e quella orientale e diventa punto di riferimento per amatori, collezionisti, curiosi. In azienda entrano anche i figli di Luisa e Luigi, Luca e Susanna. Non solo. La passione di famiglia e le capacità imprenditoriali trovano un ulteriore sbocco, il Crespi Bonsai Museum, un ambiente speciale per opere d’arte speciali: i capolavori da collezione raccolti nel corso del tempo da Luigi Crespi. È il 1991 ed è il primo museo permanente di bonsai al mondo.

Ed eccoci all’oggi. A Crespi Bonsai, tuttora leader nel suo settore e brand conosciuto e stimato internazionalmente, si affiancano la divisione Crespi Giardini, che si occupa di creazioni paesaggistiche e progettazioni ambientali, e Crespi Editori, nata per diffondere l’arte del bonsai, che pubblica, tra l’altro, miniguide a tema e la rivista bimestrale Bonsai & News.

Ma torniamo al Crespi Bonsai Museum. La collezione è ora di circa 200 bonsai, esposti a rotazione nel momento migliore per essere osservati e secondo la stagione. La preziosità e rarità di queste opere e la difficoltà nel reperirle fa sì che il percorso museale sia breve: una prima sala, una galleria, una sala finale.

La prima sala porta subito nel lontano Oriente: una struttura in legno riproduce un tokonoma, l’angolo della casa giapponese tradizionale dove si mettono elementi di grande valore artistico o spirituale e che dà il benvenuto agli ospiti. E qui, esposto a dare il benvenuto, è un bonsai: un bosco di abeti di 70-80 anni.

Questa è anche la sala dei vasi, fondamentali nell’arte del bonsai al pari della pianta. Affascinanti e di grande pregio, sono vasi cinesi e giapponesi di diverse epoche: alti e bassi, minimali o con molti decori, di dimensioni e forme differenti, esempi delle varie mode che si sono susseguite nel corso dei secoli. Il più interessante? Un vaso commemorativo della Casa imperiale del Giappone, con il sigillo imperiale, cioè il crisantemo a sedici petali. Curiosi e preziosi anche alcuni pezzi di kintsugi, vasi rotti riparati con inserimenti di oro o argento per dare una nuova vita e ulteriore valore all’oggetto.

La galleria è dedicata ai bonsai, soprattutto giapponesi, “da interno”, definizione che si giustifica per il fatto che le piante arrivano da climi tropicali e subtropicali e qui, alle nostre latitudini, hanno la necessità di stare più al caldo. Il percorso è un tuffo in un mondo stupefacente: ci sono bonsai con decine o centinaia d’anni, educati (si dice così) dai più famosi Maestri giapponesi attraverso potature, pinzature, defogliazioni, bilanciando le concimazioni per ricreare quello che, in natura, succede alla pianta.

Tante le meraviglie, dal cotogno che, come tutti i bonsai, ha frutti (e prima fiori) a grandezza naturale, al ginepro dono della famiglia Kato (cinque generazioni di bonsaisti) e iscritto nel Registro dei tesori nazionali giapponesi, al bosco di Picea jezoensis, albero che in natura raggiunge i 40 metri d’altezza.

Affascinanti il Pinus pentaphilla Miyajima, esemplare rarissimo di 450 anni con “cambio d’abito”, cioè con tronco e rami di pino nero e vegetazione di pino bianco, e il Tasso del monte Ishizuchi, con formazione di legna secca sul tronco: una scultura.

L’ultima sala è uno scrigno di tesori: piccoli oggetti, statuine, libri, un’armatura da Samurai e incredibili suiseki, pietre di diversa origine che nel corso di milioni di anni si sono fuse insieme creando disegni che richiamano elementi naturali, come fiori di crisantemo o di prunus.

Al centro, l’opera d’arte più preziosa, di valore inestimabile, ottenuta nel 1986 dopo dieci anni di contrattazione: il maestoso e millenario Ficus Retusa Linn, con a guardia copie di guerrieri di terracotta di Xian e posto nel vaso bonsai più grande al mondo. Curato per secoli, con un intreccio di radici aeree spettacolare, ha armonia e perfezione assolute ed emana energia e positività. Perché visitare il Crespi Bonsai Museum significa entrare in un mondo di emozioni, soprattutto di pace e serenità.