L'editoriale

È la democrazia, bellezza!

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di Claudio Braschino

Più citato di Confucio. È Humphrey Bogart nel film di Richard Brooks L’ultima minaccia, del 1952, quando dice: «È la stampa, bellezza, e tu non ci puoi fare niente». Abbiamo sostituito stampa con democrazia, con il redivivo Bogart che dà lezione di obiettività leggendo all’anglosassone i risultati del voto. Giorgia prima per distacco, e sul termine prima abbiamo giocato nel titolo, e centrodestra con maggioranza schiacciante sia alla Camera che al Senato.

Questo dicono i numeri, e dicono anche che i nostri connazionali più che del ritorno del fascismo sono preoccupati del ritorno della fame. Al Sud, dove in tanti, in troppi non hanno votato, sono avvinghiati al reddito di cittadinanza come all’ultima risorsa per vivere. Al Nord, e pure lì Giorgia è prima, le aziende, specie le Pmi, chiudono soffocate dal caro energia, come testimonia il nostro reportage nel distretto della ceramica. Oltretutto c’è il rischio che le bollette, senza interventi politici, schizzino in alto anche del 60 per cento e il gas è già aumentato per gli inquietanti attacchi terroristici ai gasdotti Nord Stream 1 e 2 nel Baltico. Siccome ci vorrà un mese, se va bene, per formare il nuovo governo, è corsa contro il tempo anche per una finanziaria che si annuncia impegnativa, si parla già di 40 miliardi, ma si sa che la legge di bilancio riserva le sorprese più amare quando Babbo Natale è già partito con la slitta.

Mentre scriviamo febbrili sono le trattative con gli alleati, una Lega delusa e un Berlusconi immortale, ma soprattutto, dicono dalle segrete stanze romane, che Giorgia non vuole sbagliare nulla, sia nella costruzione del suo staff, sia nella composizione di una squadra di governo che deve essere autorevole. Per il tagliando del Quirinale, per quello dell’Europa e di tutto il contesto internazionale, per avviare un dialogo non ideologico con l’opposizione. Il nostro Paese, meraviglioso e problematico, come l’ho definito nell’editoriale di apertura di questa nostra avventura del Settimanale, ha bisogno delle intelligenze di tutti per salvarsi. Dicono, sempre dalle segrete stanze romane, che Giorgia guardi anche a figure tecniche super partes per la gestione delle questioni economiche, cruna dell’ago da cui passa, ormai da anni, il successo o meno di ogni esecutivo.

Dicevamo dell’opposizione, questione dirimente per il buon funzionamento di una democrazia. Per il Pd, dopo dieci anni di potere praticamente ininterrotto, e non sempre guadagnato nelle urne, un giro di giostra dall’altra parte del mappamondo politico non deve essere visto come un dramma. Fa parte della cosiddetta alternanza. A Letta va riconosciuta l’onestà intellettuale nell’aver ammesso la sconfitta e l’eleganza morale di non ricandidarsi al prossimo congresso per la segreteria del partito. Un partito che non ha preso il 2 ma quasi il 20 per cento, che è radicato nel Paese e che ha al suo interno energie e uomini per tornare protagonista al di là degli auto-vittimisti. Certo, una riflessione su una campagna elettorale infelice va fatta. Spesso la satira dice in modo brusco e un po’ grossolano la verità, circola sul web una vignetta-fumetto che recita così: “Abbiamo parlato di Peppapig, Bellaciao, Ucraina e Gender Fluid… Com’è possibile che abbiamo perso?”. Per ripartire, al di là delle iperboli del comico, forse non fa male uscire dai salotti metropolitani e tornare a parlare agli ultimi, come ha fatto, vincendo dal canto suo, l’ex alleato (e forse futuro alleato) Conte.

Infine, Giorgia non deve dimenticare Renzi. Come a sinistra sono specializzati in scissioni tanto che anche al Cern di Ginevra li guardano con interesse, il toscano ha un talento innato nel far cadere gli esecutivi. Pare che gli abbiano già chiesto di fare lo sgambetto alla Meloni. Prima però bisogna farlo il governo, fa notare l’aristotelico Matteo. Meglio aspettare. Anche perché in giro c’è poca sensibilità per i “giochetti” e molta per il portafogli.