Finanza e Risparmio

Finanza sostenibile: prove di realismo

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di Mariarosaria Marchesano

Negli Stati Uniti si è scatenata di recente una vera guerra politico-ideologica sugli Esg, che sono i principi di sostenibilità (Environment, social e governance) degli investimenti promossi da Onu, Ocse e Unione europea.

Una ventina di procuratori generali di altrettanti stati, tutti repubblicani, hanno attaccato pubblicamente il ceo di Blackrock, Larry Fink, l’uomo più potente della finanza globale (10mila miliardi di dollari in gestione), per il fatto di essere troppo severo nel giudicare il rispetto di questi criteri da parte delle società in cui investe. I procuratori statunitensi ritengono che gli impegni da lui assunti in questo ambito coincidano troppo con quelli delle organizzazioni climatiche e, più in generale, sottolineano che i gestori hanno il dovere di concentrarsi sui rendimenti finanziari per conto dei propri clienti, lasciando da parte il clima o altre questioni di questo tipo.

Insomma, dei pubblici funzionari si sono ribellati al “re” di Wall Street – che per la verità trova oppositori anche tra i democratici – mettendo in discussione la strategia di investimenti che, tra l’altro, provengono in buona parte dai grandi fondi pensione americani.

L’attacco a Fink fa capire quanto rilevante sia diventata la questione Esg, che tocca l’essenza stessa del capitalismo mondiale. Per il ceo di Blackrock la sostenibilità porta profitti e le aziende che non rispettano l’ambiente, la diversità società e umana e non adottano una corretta governance, resteranno indietro.

Per gli oppositori di questa teoria, bisognerebbe evitare la correlazione tra impegni sociali e ambientali e risultati finanziari soprattutto in campo energetico, dove i tempi della transizione green sono tutt’ora dibattuti. La stessa Blackrock, che non è una società né di ecologisti né di filantropi, ha chiarito di non perseguire il disinvestimento dalle compagnie petrolifere e del gas come politica proprio per rispondere alle critiche di alcuni ambienti industriali e politici Usa.

In Europa, tutto questo dibattito è assente o, meglio, è stato inghiottito dall’emergenza energetica scoppiata con la guerra in Ucraina, problema che negli Stati Uniti non esiste. Quando a un certo punto le forniture di gas russo si sono quasi fermate, il tema della riduzione delle emissioni è apparso ad alcuni osservatori di secondo piano rispetto alla necessità di garantire gli approvvigionamenti per non fermare l’industria e i consumi delle famiglie (condizionatori d’estate e caloriferi d’inverno). Anzi, proprio la crisi energetica è stata l’occasione per far uscire allo scoperto gli scettici della transizione che hanno espresso forti dubbi sui tempi dettati dall’Unione europea e cioè raggiungere zero emissioni entro il 2050, cosa che comporta un radicale ripensamento del modo di produrre.

Dal canto suo, la Commissione Ue si è dimostrata ferma nella volontà di raggiungere gli obiettivi annunciati. Così, negli ultimi tempi, è tornata ad aumentare la pressione sulle imprese affinché si dotino di politiche in grado di ridurre il proprio impatto sull’ambiente. E gli Esg sono diventati un diktat anche perché dal primo gennaio 2022 è entrata in vigore la tassonomia europea, vale a dire la classificazione delle attività economiche che non hanno un impatto negativo sull’ambiente. In pratica la tassonomia serve per dire agli investitori cosa sia green e cosa no. Non è un elenco obbligatorio per chi investe, ma di certo è una chiara indicazione per chi alloca capitali nel mondo come Blackrock. A pensarci, Larry Fink ha semplicemente previsto che si sarebbe arrivati a questo punto e ha orientato la sua strategia in largo anticipo.

La guerra in Ucraina e la conseguente crisi energetica sono stati un incidente di percorso, ma in questo momento nulla fa pensare che l’Ue così come le Nazioni Unite o le altre organizzazioni mondiali facciano dei passi indietro nella lotta al cambiamento climatico. Una novità importante, però, c’è ed è rappresenta dall’introduzione di gas e nucleare nella lista delle attività che sono considerate sostenibili dalla tassonomia europea. Del resto, da qualche parte bisognerà pur prenderla l’energia fino a quando la produzione da fonti rinnovabili non riuscirà a coprire il 100 per cento del fabbisogno (secondo alcuni, questo difficilmente potrà accadere).

In sintesi, un bagno di realismo c’è stato da parte della Commissione, che sta realizzando il suo “green deal” in un periodo di gravi tensioni geopolitiche. È evidente, a questo punto, che le imprese che si posizionano nel perimetro della sostenibilità e della transizione verde risultano fin da subito più appetibili al pubblico che è sempre più sensibile ai temi ambientali (soprattutto le nuove generazioni) e sono anche quelle che più facilmente ottengono liquidità dagli investitori finanziari che assumono le loro decisioni sulla base dell’esistenza del rating Esg.

Il processo che ha portato a questi criteri è partito negli anni Novanta con i bilanci di responsabilità sociale. La svolta è arrivata 2015, con la definizione degli obiettivi di sostenibilità delle Nazioni Unite e la Conferenza di Parigi sul clima, da cui è nato il primo accordo universale vincolante firmato da 195 paesi: sulla base di questi accordi molte legislazioni nazionali hanno introdotto l’obbligo di reportistica per le imprese e sono nate le agenzie specializzate che assegnano il rating Esg che determina la loro finanziabilità.