Finanza e Risparmio

I big via dalla Borsa, la grande chance per le Pmi

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di Mariarosaria Marchisano

Piazza Affari si prepara un autunno di addii: Atlantia, Exor e Tod’s sono solo alcune delle big che tra settembre e ottobre lasceranno la Borsa, ma anche società di medie dimensioni come Prima Industrie e Coima seguiranno la stessa strada. A fine 2022 il mercato azionario italiano, che da poco è entrato a far parte del gruppo Euronext guidato da Stéphane Boujnah, avrà circa 43 miliardi di capitalizzazione in meno dopo che ha già perso 55 miliardi dal 2017 al 2021 come calcolato da uno studio condotto dal Politecnico di Milano con l’investment bank Intermonte. Colpa dei continui delisting, cioè di società che decidono di cancellarsi dal mercato azionario oppure di quotarsi altrove. Questo fenomeno, che tanto scalpore ha suscitato, dovrebbe far riflettere sulle cause che lo generano ma anche sulle prospettive che apre.

La fuga da piazza Affari delle grandi società è stata, infatti, negli ultimi anni controbilanciata – sebbene in termini di numeri e non di valori – dall’arrivo di decine e decine di piccole e medie imprese sul segmento non regolamentato Egm, l’ex Aim. Oggi sono 180 ma entro la fine dell’anno dovrebbero salire a 200, arrivando a rappresentare il 50 per cento del totale delle quotate in Italia (circa 400). Insomma, se le grandi aziende abbandonano il campo le piccole sono un esercito sempre più numeroso. Ovviamente, non c’è una compensazione perché queste 200 – per la maggior parte con un fatturato inferiore a 50 milioni di euro – capitalizzano tutte insieme solo una minima parte del totale di Borsa italiana (13 miliardi su circa 6-700 miliardi). Resta il fatto che il dinamismo delle pmi è l’unico dato positivo che si registra sulla piazza finanziaria italiana che si sta progressivamente impoverendo nel contesto dei mercati azionari globali.

È possibile che si stia affacciando un nuovo capitalismo? E di che cosa c’è bisogno perché le piccole aziende di oggi diventino le big di domani? Giovanni Natali, presidente di AssoNext nonché pioniere di questo mondo avendo accompagnato alla quotazione un terzo delle società presenti oggi su Egm, spiega che sarebbe, per esempio, auspicabile un processo di consolidamento – alias fusioni e aggregazioni – tra Pmi quotate per dar vita a società più grandi, contendibili e appetibili per gli investitori. “La dimensione è un limite che può essere superato se, però, gli azionisti abbandonano l’ossessione del controllo accettando di fare spazio a nuovi soci finanziari, come fondi ed operatori professionali – dice – L’Italia ha grandi potenzialità proprio per la presenza di importanti filiere produttive, ma sono ancora troppo poche le aziende che accettano la sfida della Borsa e anche tra queste prevale un atteggiamento difensivo perché sanno che la crescita dimensionale potrebbe implicare la perdita del controllo. E’ un tema culturale, anzi di scarsa cultura di mercato”. La quotazione in Borsa, invece, dovrebbe essere non solo un’operazione di finanza straordinaria ma una strategia di crescita per le imprese volta a favorire lo sviluppo dimensionale e industriale. Lo ha spiegato Anna Lambiase, fondatrice di Ir Top Consulting e dell’Osservatorio sulle Pmi, in una recente audizione alla Camera dei deputati in cui ha auspicato che gli incentivi pubblici legati alla quotazione – per esempio il credito d’imposta introdotto nel 2018 – diventino una misura strutturale e continuativa con la prossima legge finanziaria. “Sono d’accordo che il bonus ipo, confermato per ora solo per il 2022, dovrebbe essere permanente – aggiunge Natali – E visto che manca poco alle elezioni del 25 settembre, mi auguro che la politica affronti seriamente questo tema, anche perché se il numero di società quotate in Italia continua a ridursi, mi domando dove investiranno i fondi italiani la liquidità raccolta dai risparmi dei cittadini”.

Secondo le stime della Banca d’Italia, sono circa 2800 le Pmi con caratteristiche ampiamente idonee alla quotazione. Aziende che in questo modo riuscirebbero a ridurre la forte dipendenza dalle banche e dall’indebitamento a breve termine. “La Borsa, invece, ti da i soldi e non li vuole più indietro – incalza Natali – ma per promuovere un circolo virtuoso ci vorrebbe uno sforzo anche da parte delle istituzioni e dei regolatori”. Di recente, la Consob, presieduta da Paolo Savona, ha fatto un passo in avanti semplificando le procedure per la quotazione, con la possibilità di redigere il prospetto informativo in inglese, ma questo non basta secondo Giancarlo Giudici, docente di finanza al Politecnico di Milano e attento osservatore delle dinamiche di Borsa. “C’è bisogno di un clima più favorevole – dice – le società quotate sono spesso scoraggiate dalla mole di adempimenti burocratici e intimidite dal rischio di incorrere in costose sanzioni. E’ aumentata la paura di sbagliare e di perdere la reputazione. Il fenomeno del delisting, che si sta diffondendo anche sul segmento Egm, è destinato a continuare se non si corre ai ripari”. Ma come? “Borsa italiana sta vivendo una fase di trasformazione epocale e potrebbe essere utile aprire un tavolo per ragionare sulla revisione di adempimenti, regole e incentivi con l’obiettivo di inaugurare una nuova fase di rilancio”, conclude Giudici.