Finanza e Risparmio

Equity e Risparmio in bilico

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di Mariarosaria Marchesano

Ma i fondi di private equity non traboccavano di liquidità? Sì, secondo quanto affermato da tanti esperti del settore. E allora, perché il colosso britannico Cinven, società d’investimento tra le più affermate in Europa, ha versato solo una parte (100 milioni) della somma necessaria a scongiurare il crac della compagnia Eurovita e a evitare a cascata una crisi di fiducia in Italia nel settore assicurativo e bancario?

Attenzione, nulla esclude che in futuro Cinven aumenti la sua disponibilità a sanare la situazione di debolezza patrimoniale in cui versa Eurovita, finita in amministrazione provvisoria dopo che l’Ivass ha chiesto a più riprese alla proprietà di intervenire con un’iniezione di capitale. Intanto, però, proprio la decisione dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni di nominare un commissario (Alessandro Santoliquido) ha portato sotto i riflettori Cinven con il suo comportamento temporeggiante.

Così è scoppiato un caso che avvalora i dubbi talvolta sollevati, anche a livello di autorità di regolamentazione europea, sul modello di proprietà del private equity nelle attività che offrono prodotti finanziari ai risparmiatori.

Negli ultimi anni, i fondi di private equity sono entrati nel comparto assicurativo a modo loro, scommettendo che avrebbero potuto aumentare i rendimenti modificando le strategie d’investimento, il che vuol dire più leva finanziaria e costi unitari più bassi. Su questa scia si inserisce Cinven, che nel 2017 acquista Eurovita dalla società d’investimenti americana Jc Flower facendo così una grande scommessa sull’Italia, dove da sempre il settore delle polizze vita è considerato molto remunerativo. E anche molto oneroso per i risparmiatori, come risulta evidente anche dall’iniziativa della Commissione europea che vorrebbe eliminare le così dette commissioni di retrocessione per ridurre i costi dei prodotti in mercati come l’Italia. Le commissioni di retrocessione sono quelle pagate dalle compagnie a banche e consulenti che distribuiscono le polizze (ma anche fondi comuni) ribaltandone il costo sul cliente finale.

Eurovita può contare in Italia su 2.500 distributori, tra i quali le reti di Fineco, Fideuram e Credem nonché quelle dei principali operatori del settore (Generali, Poste e Unipol). Per tutti questi soggetti, la situazione in sui si trova la compagnia controllata da Cinven potrebbe rappresentare un potenziale rischio per la crisi di fiducia che si potrebbe scatenare se entro il 31 marzo non si trova una soluzione all’attuale stallo (le alternative alla ricapitalizzazione sarebbero l’amministrazione straordinaria o, ultima spiaggia, la liquidazione).

Santoliquido ha tempo fino al 31 marzo per sciogliere la matassa e una delle sue prime mosse è stata quella di congelare i riscatti, il che significa che oltre 350mila clienti non possono accedere al momento ai lori risparmi.

I guai di Eurovita sono cominciati lo scorso anno, quando le perdite registrate dalle obbligazioni sui mercati finanziari hanno colpito il coefficiente di solvibilità della compagnia. E il paradosso è che ad incidere di più sulle minusvalenze di portafoglio non sono stati i BTp, il cui rischio era coperto da contratti di derivati, ma i titoli di debito tedeschi e francesi.

Ad ogni modo, la riduzione dei coefficienti di solvibilità che ne è derivata ha spinto l’Ivass a chiedere a Cinven-Eurovita una ricapitalizzazione da 200 milioni, ma il fondo inglese ha preso tempo nella speranza nel frattempo di vendere la compagnia. Ma l’operazione è sfumata e a fine gennaio l’Ivass ha sospeso gli organi societari e nominato un manager assicurativo con la fama di risanatore in qualità di commissario. Quello che è successo è che il crescente numero di richieste di riscatto piovute sul tavolo di Eurovita a inizio anno stava erodendo ulteriormente i ratio patrimoniali già messi a dura prova dalla gestione del 2022 e adesso, da stime ufficiose che circolano, si calcola che il fabbisogno di capitale sia salito a 400 milioni di cui Cinven ha messo sul piatto solo un quarto.

Il caso Eurovita è seguito attentamente anche a livello europeo, poiché gli investitori di private equity stanno cercando di capire se gli asset non quotati con una esposizione al pubblico risparmio possono subire una qualche restrizione regolamentare in futuro. In Italia, intanto, si pone un problema di reputazione del settore.

L’idea di Santoliquido sarebbe quella di evitare una crisi di fiducia. Per questa ragione starebbe lavorando all’ipotesi di una operazione di “sistema” pur di mettere in sicurezza il capitale della compagnia. In assenza di un intervento da parte di Cinven e di un unico compratore, alle banche e le reti che hanno distribuito le polizze nonché i principali operatori del settore assicurativo potrebbero essere richiesto di partecipare pro quota al rafforzamento patrimoniale di Eurovita.

In tutto questo, i risparmiatori che hanno acquistato prodotti assicurativi da Eurovita rischiano perdite anche ingenti sul capitale investito ma solo in caso di fallimento della compagnia, ipotesi per ora che appare remota mentre più probabile è un salvataggio “italico” sullo stile di quelli bancari.