Inchieste

Accise, una dote irrinunciabile da 30 miliardi

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di Veronica Schiavone

Una gallina dalle uova d’oro da quasi 30 miliardi di euro (29,5 nel 2021) l’anno a cui è impossibile, per il bilancio dello Stato, rinunciare. Tanto valgono le accise, tornate prepotentemente ad alleggerire le tasche dei cittadini dopo la decisione del governo di non prorogare, a partire dal 1° dicembre 2022, il taglio deciso da Draghi che aveva portato i prezzi della benzina ai minimi storici per contrastare il caro energia.

È sui carburanti, infatti, che il peso delle accise si fa sentire maggiormente, considerando che, assieme all’IVA al 22% arriva a cubare oltre il 60% di quanto gli automobilisti pagano per un litro di benzina. In pratica sui quasi 1,9 euro del prezzo al litro di benzina e diesel, un euro se ne va in tasse. E lo confermano gli ultimi dati che il MiSE (oggi Ministero delle Imprese e del Made in Italy) aggiorna settimanalmente. Nell’Unione europea solo Gran Bretagna e Olanda hanno imposte indirette sui carburanti più alte di quelle del nostro Paese.

Esiste una via d’uscita a tutto ciò? Probabilmente no e le ragioni sono molteplici.

La prima è nel dato da cui siamo partiti. Le accise, non solo quelle sui prodotti energetici e loro derivati (carburanti), ma anche quelle sull’energia elettrica e sul gas naturale per combustione (gas metano) generano per l’Erario introiti irrinunciabili, senza i quali i conti dello Stato non quadrerebbero.

Poi c’è una ragione, purtroppo, strutturale. Nate come imposte una tantum per finanziare esigenze di cassa emergenziali e straordinarie legate a guerre e catastrofi naturali (dalla guerra in Etiopia del 1935 alla crisi di Suez del 1956, dal disastro del Vajont del 1963 all’alluvione di Firenze del 1966, dal terremoto del Belice del 1968 a quello in Friuli nel 1976, dal sisma in Irpinia del 1980 a quelli a L’Aquila del 2009 e in Emilia del 2012 passando per le missioni Onu in Libano e Bosnia), a partire dal 2013 le accise sono diventate strutturali. Il che significa che i centesimi o i millesimi di euro accumulatisi di volta in volta a gonfiare negli anni il prezzo della benzina per finanziare interventi contingenti (senza che mai, cessate le emergenze, i relativi aggravi venissero cancellati) si sono trasformate in un fardello forfettario ormai ineliminabile.

Per ridurre il peso del caro energia (e della speculazione) sulle tasche degli automobilisti, che a portato il costo dei carburanti a superare abbondantemente la soglia dei 2 euro a litro nel mese di marzo 2022 (con punte di 2,5 euro registrate per il gasolio sulle autostrade) il governo Draghi ha tagliato le accise sui carburanti producendo tuttavia, anche se per nobili finalità, un buco nei conti pubblici non irrilevante. Nel Bollettino delle entrate tributarie del MEF, la perdita è stata stimata in 3,9 miliardi di euro per il periodo gennaio-ottobre 2022. Il 21% in meno rispetto all’analogo periodo del 2021.

Troppo per poter proseguire su questa strada all’infinito. E così il governo Meloni ha fatto una scelta di campo: prorogare gli interventi selettivi contro il caro energia (a beneficio dei ceti meno abbienti e delle imprese energivore), che infatti cubano 21 miliardi sui 35 complessivi della Manovra di bilancio 2023, e mettere per il momento da parte gli sconti alla pompa di benzina di cui beneficiano tutti indistintamente (anche i ricchi). Una scelta di campo formalizzata con il decreto legge “accise” (dl 179/2022) che, a fine novembre, ha rideterminato il taglio delle accise sui carburanti, riducendo lo sconto di Draghi (pari a 25 centesimi al litro che poi diventavano 30,5 centesimi aggiungendo anche l’Iva) di circa 10 centesimi al litro.