Inchieste

Balneari, il governo si appiglia alla mappa delle spiagge

Scritto il

di Giorgio Costa

Concessioni dei balneari strette tra proroga dello status quo e gare. Perché se è vero lo slittamento delle gare al 31 dicembre 2024 è legge, è altrettanto vero che il decreto “Milleproroghe” – nella parte in cui si prolunga la validità delle concessioni di un anno, si allunga di 5 mesi (fino al 27 luglio) il tempo nel quale vanno mappate le concessioni esistenti e si ferma, fino alla stessa data, la possibilità per i Comuni di emanare bandi per riassegnare le concessioni –  è stato sottoposto a un fuoco di fila non indifferente, in primis dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

E ora torna alla carica anche la Commissione Ue: sulle gare non si deroga, sulle modalità gli Stati membri hanno margine (si veda il servizio accanto). Ma il governo è proprio sulle gare che vuole derogare o, quanto meno, ritardare.

Il capo dello Stato, infatti, nella lettera che accompagna la promulgazione della legge di conversione del decreto Milleproroghe, indirizzata ai presidenti del Consiglio, della Camera e del Senato, afferma che «i profili di incompatibilità con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali definitive accrescono l’incertezza del quadro normativo e rendono indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di governo e Parlamento». L’invito è di «assicurare l’applicazione delle regole della concorrenza e la tutela dei diritti di tutti gli imprenditori coinvolti, in conformità con il diritto dell’Unione europea». Per non dire che la Corte di giustizia europea – come annuncia il sito balneari.com – emetterà il 20 aprile una sentenza che stabilirà i principi giuridici fondamentali in materia di demanio marittimo, che saranno determinanti per la riforma delle concessioni.

Ora la palla è in mano al governo che, diviso al suo interno e con Forza Italia e Lega ma anche ampie quote di Fratelli d’Italia dichiaratamente dalla parte dei balneari, punta tutto sul censimento in atto sulle spiagge: se la “risorsa spiaggia” non fosse scarsa – ossia ci fossero quote di arenile non utilizzate per la balneazione – ecco che la direttiva Bolkenstein non si applicherebbe e tutta la questione si sgonfierebbe. Da parte sua Giorgia Meloni teme una procedura di infrazione e da Palazzo Chigi  filtra una replica con cui si prende tempo assicurando «attenzione e approfondimento da parte del governo nel confronto con le forze parlamentari». In realtà la proroga, per quanto breve, continua a rappresentare un grande rischio, dal momento che a novembre 2021 il Consiglio di Stato – con la sentenza che ha annullato la precedente proroga al 2033 e imposto la riassegnazione delle concessioni balneari tramite gare pubbliche entro il 31 dicembre 2023 – ha anche dichiarato che qualsiasi ulteriore rinnovo automatico sarebbe stato illegittimo e immediatamente disapplicato dalla giustizia amministrativa.

La mappatura delle coste

La proroga delle concessioni rischia insomma di essere disapplicata, a meno che il governo non faccia dietrofront. A restare in piedi rimarrebbe invece la delega per effettuare la mappatura del demanio marittimo, anch’essa oggetto di un rinvio nel decreto Milleproroghe, che ha spostato la scadenza dal 27 febbraio al 27 luglio.

La speranza degli oltre 30mila imprenditori del settore è che possa servire a dimostrare la “non scarsità della risorsa” e dunque l’inapplicabilità della direttiva Bolkestein.

«Va fatta la mappatura delle coste non per eludere la direttiva Bolkestein – sottolinea Maurizio Rustignoli, presidente cooperativa Spiagge di Ravenna – bensì per riconoscere i giusti diritti delle imprese: la mappatura consente di verificare se c’è o meno scarsità di aree demaniali già censite come insediamento turistico-ricreativo-balneare ma non assegnate. Se dovesse emergere che la risorsa è scarsa, si dovranno stabilire i valori certi delle imprese balneari e i parametri per le gare. Ma a noi risultano centinaia di lotti disponibili in Italia».

Oltre 7mila stabilimenti nel limbo

Finché la riforma non sarà completata, il settore balneare continuerà insomma a trovarsi in una sorta di limbo nel quale le principali vittime, oltre agli esercenti le attività balneari, sono ad oggi le aziende dell’indotto (a partire dai produttori di lettini, ombrelloni, cabine, arredi, tecnologie e servizi per le imprese balneari) che stanno subendo un blocco totale degli investimenti. Una categoria molto vasta, quella delle concessioni balneari. È, infatti, di 7.173 il numero di stabilimenti balneari operanti lungo tutta la penisola italiana, il 25% in più rispetto a dieci anni fa. Lo rivela un’indagine di Unioncamere sulla base dei dati del Registro delle imprese delle Camere di commercio, aggiornati al 31 dicembre 2021.

Conteggiando solo i 770 Comuni costieri, la media nazionale è di circa uno stabilimento balneare ogni chilometro di costa. L’Emilia-Romagna è la regione con il maggiore numero di stabilimenti balneari, ben 1.063, circa il 10% del totale nazionale; di fatto, uno stabilimento balneare ogni 100 metri di spiaggia balneabile. Al secondo posto la Toscana con 914 imprese, pari a 2,3 stabilimenti ogni chilometro (anche se Camaiore batte il record nazionale di densità, con 91 stabilimenti balneari su 3 chilometri di costa, vale a dire 30 per chilometro). Sempre secondo lo studio di Unioncamere, dal 2011 gli stabilimenti balneari sono cresciuti di ben 1.443 unità in dieci anni, soprattutto al Sud. Dai dati emerge inoltre che l’esercizio dell’attività avviene prevalentemente attraverso la forma della  società di persone (3.507 le aziende con questa forma giuridica a fine 2021, pari al 43% del totale) a testimonianza della frequente conduzione familiare. Infine, prendendo in esame le 1.700 società di capitale, emerge la fotografia di un settore composto per il 68,4% da realtà sotto i 250mila euro di fatturato.

La necessaria riorganizzazione del settore

Quindi, anche la frammentazione del settore imporrebbe interventi normativi  e il comparto potrebbe iniziare a guardare alle gare competitive «come un’occasione da cogliere, e non un rischio da evitare», spiega in un report l’Istituto Bruno Leoni. Molti operatori, comprensibilmente, temono di non avere i requisiti economici, organizzativi e dimensionali per poter competere in una gara pubblica, soprattutto se dovessero partecipare imprese dalle spalle larghe. A questo problema – si legge nello studio – si può ovviare in due modi: innanzitutto, bisogna evitare che l’assenza di una normativa nazionale renda direttamente applicabili i principi di diritto europeo, come avverrebbe allo spirare del termine concesso dal Consiglio di Stato; l’intervento normativo nazionale, di fatto, sarebbe l’occasione per tenere in considerazione gli investimenti realizzati, il loro valore residuo, la continuità operativa, la tutela occupazionale. Secondo punto: gli operatori possono unire le forze e partecipare alle gare sotto forma di raggruppamenti temporanei di imprese. «In tal modo, potrebbe essere più facile formulare un’offerta competitiva e, soprattutto in ottica pro-concorrenziale, favorire – spiegano dall’Istituto Bruno Leoni – la partecipazione di soggetti che, singolarmente, non ne avrebbero la possibilità».

Prepararsi alle gare in tal senso, sfruttando gli strumenti ordinari già concessi dalla normativa e senza la necessità di misure ad hoc, sarebbe una scelta molto più lungimirante per il settore, anche per svincolarsi dagli umori della politica che promette cose che difficilmente può mantenere.

A lavorare a una soluzione, a partire dalle interlocuzioni con l’Europa, è soprattutto il ministro Raffaele Fitto. Un aggiustamento con un decreto legge appare necessario quantomeno entro l’anno. Se si sceglierà invece di andare allo scontro con l’Ue, l’apertura di una procedura di infrazione viene data come inevitabile.

Fabrizio Licordari, presidente di Assobalneari Italia, appoggia le scelte dell’esecutivo:

Il governo affronta queste questioni privilegiando i temi dell’occupazione, del lavoro e della difesa della impresa italiana. Siamo convinti che anche il presidente Mattarella saprà dare la priorità a questi temi.

«Il problema – spiega l’assessore regionale al Turismo dell’Emilia-Romagna, Andrea Corsini – non è l’anno in più di proroga, ma il non voler dare una prospettiva e una certezza di futuro ai balneari: solo nella nostra regione parliamo di 45-50mila posti di lavoro, senza contare l’indotto. Si torni subito alla proposta e al documento redatto dalla Regione Emilia-Romagna, per dare un contributo concreto alla riforma nazionale. Un documento, fatto proprio da tutte le altre Regioni, che definiva una serie di punti imprescindibili: il valore aziendale delle imprese (non solo investimenti, ma anche beni mobili e immobili); i criteri per premiare professionalità ed esperienza nel gestire da almeno 5 anni concessioni balneari a scopo turistico; il “no” al canone come criterio di aggiudicazione (questo lo definisce il Governo e non può essere oggetto di gara). Infine, lasciare alle Regioni la possibilità di introdurre ulteriori criteri sulla base della specificità delle diverse realtà territoriali».