Inchieste

Fisco: più certezza del diritto

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di Antonio Tomassini
(Professore di diritto tributario, Partner DLA Piper Studio Legale)

La delega fiscale è ambiziosa, anzi ambiziosissima. Laddove si riesca a convertire la maggior parte dei principi e criteri direttivi in decreti delegati nel termine indicato di 24 mesi, assisteremmo a una riforma vera, di quelle che sul fisco non si vedono dagli anni ’70. Impossibile soffermarsi su tutto, la delega abbraccia tutti i tributi e tutti i momenti del rapporto fisco-contribuente, dai controlli, al contraddittorio, alle sanzioni, al contenzioso, fino alla riscossione. Bene peraltro fanno i vertici del ministero dell’Economia e delle Finanze a comunicare il più possibile il percorso che hanno intrapreso e bene che si preveda una interlocuzione costante con associazioni di categoria ed esperti. Quando si tratta di fisco italico, tentativi di riforma così profondi rappresentano vere e proprie svolte culturali, vanno dunque comunicati chiaramente e condivisi ad ogni livello.

Tra i pilastri di questo percorso, che nell’auspicio del governo porterà alla codificazione della materia tributaria, la certezza del diritto.

Ci sembra un obiettivo tra i più nobili. Nel misurare l’attrattività del Paese gli investitori italiani e soprattutto stranieri mettono la stabilità delle regole fiscali al primo posto, anche prima delle basse aliquote. Inoltre, la certezza del diritto tende a distendere i rapporti tra fisco e contribuente, stimolando l’adempimento spontaneo, riducendo e velocizzando gli adempimenti burocratici e in ultima istanza il contenzioso. Il metodo tratteggiato per perseguire l’obiettivo passa, innanzi tutto, dal potenziamento delle forme di dialogo preventivo con l’amministrazione finanziaria.

Si vuole tendere alla predeterminazione degli imponibili, risultato invero storicamente difficile a tutti i livelli.

Per le Pmi, perché non ci sono le risorse e la concreta possibilità di controllare in modo capillare il loro fair play tributario, per le grandi aziende, perché pur essendo dotate di sistemi di controllo interno e di rigidità contabili sono state negli anni obiettivi facili da accertare per garantire un maggior gettito (sovente, come insegna la storia degli ultimi anni, per scongiurare mali peggiori, come un lunghissimo contenzioso tributario o peggio ancora un procedimento penale, le grandi aziende hanno deciso di aderire in tutto o in parte alle richieste erariali).

Ebbene, partendo dalle grandi aziende, la delega prevede da un lato un potenziamento e dall’altro lato una riduzione delle soglie di accesso (oggi possono accedere imprese con un fatturato superiore a 1 miliardo di euro) della cosiddetta cooperative compliance, istituto nato con l’idea di concedere dei benefici alle grandi aziende a fronte della disponibilità a sottoporsi ad una forma di tutoraggio da parte dell’Agenzia delle entrate. Ad oggi le imprese nel regime, che sono 93, chiedono di più, sia sul fronte delle risorse che l’Agenzia delle entrate dedica alla gestione dell’istituto, sia per quanto riguarda la necessità di una maggiore speditezza delle interlocuzioni (anche in termini di digitalizzazione del rapporto e di “composizione” di eventuali divergenze di vedute), di introdurre una soglia di materialità e tolleranza per le segnalazioni da inoltrare all’Agenzia, di prevedere maggiori vantaggi in termini di riduzioni di sanzioni amministrative e penali. Il testo della delega sembra aver individuato il contenitore dove inserire la risposta a tali istanze.

Bene anche l’ampliamento della platea e il tendere verso un “modello 231 fiscale” (la legge 231/2001 è quella che ha introdotto il modello organizzativo previsto per prevenire la commissione dei reati), dove le imprese potranno chiedere ai professionisti di certificare il loro modello di gestione del rischio fiscale. Con l’occasione si potrebbero finalmente meglio coordinare, rispetto alla situazione “pan-sanzionatoria” attuale, sanzioni tributarie amministrative, penali, 231 (i reati tributari sono stati inseriti nel cosiddetto modello organizzativo 231) e, appunto, nuove regole.

Quanto alle Pmi, molto interessante sembra la volontà di introdurre un concordato preventivo biennale.

Non è una novità assoluta e invero i tentativi del passato (comparsi per la prima volta nella legge delega C-2144 del 2001) non hanno riscosso il successo atteso, ma l’intuizione resta buona e va affinata anche alla luce delle esperienze passate. Per questi soggetti (ed anche per i lavoratori autonomi) è difficile e costa troppo assicurare un controllo capillare sul territorio, controllo che peraltro quando arriva è spesso devastante e fondato su presunzioni applicate con troppa “aggressività” (la delega prevede un freno anche alle presunzioni, sulle quali incide forse anche il rinnovato onere della prova di cui alla recente riforma del processo tributario), quindi è interessante provare a ripercorrere la via dell’accordo preventivo. L’idea, in particolare, è quella di un patto tra contribuente e fisco che giunga, dopo un’opportuna fase di contraddittorio, a una determinazione concordata della base imponibile Ires e Irap per il biennio.

La delega, in definitiva, sembra cogliere le esigenze del tessuto imprenditoriale sul fronte della certezza del diritto. Ovviamente occorrono tanti altri sforzi, dall’abbattimento del carico impositivo per chi assume, che si potrebbe modulare a seconda del profilo del lavoratore, agli incentivi per chi investe in ricerca, nella riqualificazione del territorio, in arte e cultura (vero patrimonio del Paese, cha occupa il primo posto nella classifica Unesco, non dimentichiamolo mai), al coordinamento con la riforma fiscale internazionale in atto. Tutti punti, questi, toccati dall’ambiziosissima delega, quindi i margini ci sono, non ci resta che augurare buon lavoro.