Inchieste

Farina di grillo, i rischi nascosti

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di Alessandro Luongo

Sarebbe stato sufficiente prestare la dovuta attenzione al Bloomberg Global Health Index del 20 marzo 2022: l’Italia risultava prima assoluta nell’indice mondiale della salute. È difatti il Paese dove si è sani più a lungo, in una lista di 163 nazioni elaborata sulla base di parametri come l’aspettativa di vita, le cause di morte e l’esposizione al rischio di tabacco, alcool, pressione alta o malnutrizione. Il motivo principale del successo? «Il cibo made in Italy» risponde Angela Zinnai, professore associato del dipartimento di Tecnologie alimentari di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università di Pisa. Un dipartimento che da anni collabora con aziende del calibro di Barilla, Antares, Salov, Consorzio Dop del pane toscano.

E qui entriamo subito nel merito delle farine di grilli, dei quattro prodotti a base di insetti a oggi autorizzati all’immissione in commercio dalla Commissione europea dopo l’entrata in vigore dal 1° gennaio 2018 dei cosiddetti “novel food”.

Le ultime due approvate il 26 gennaio sono la farina di grillo (Acheta domesticus) e le larve del verme della farina minore (Alphitobius diaperinus), vendute surgelate, in pasta o essiccate.

Un’opportunità, non una imposizione, quella approvata dalla von der Lyen, sia chiaro. «Ma senza demonizzare tale ricerca – commenta la docente – c’è da chiedersi se tali modelli alimentari non vadano invece bene per Paesi in via di sviluppo o dove manca una tradizione alimentare come la nostra. Penso in quest’ultimo caso al Nord Europa, in particolare all’Olanda, o al Regno Unito. Le farine di grilli, invece, non hanno alcun legame culturale con il nostro territorio».

E così, Pierluigi Delfini, amministratore delegato dell’azienda Amaranto, di Parma, specializzata in prodotti gluten e allergen free (pasta, pizze, pane, dolci), sorride quando gli chiediamo un commento sull’hamburger di grillo appena lanciato e sulla pasta e biscotti ricavati dalla farina di grillo: «Non credo affatto che tali prodotti, molto costosi, fra l’altro, possano avere successo e presa sui nostri consumatori: rimarranno riservati a una nicchia di mercato. Fra l’altro, le allergie e intolleranze alimentari sono in aumento nella popolazione italiana, compresa quella al glutine. La farina di grilli contiene allergeni a cui bisogna fare grande attenzione. Si diceva poi del costo. La macinatura d’insetto si aggira sui 70 euro al chilo, quella di frumento due».

Insomma, se è vero che questo modello non va demonizzato, va comunque accolto con prudenza e i dovuti controlli, visto che la maggior parte dei “novel food” provengono da Paesi extra Ue come Vietnam, Thailandia o Cina, da anni ai vertici delle classifiche per numero di allarmi alimentari, fa sapere la Coldiretti. Si tratta, è vero, di alimenti già valutati dall’Efsa, l’Autorità alimentare europea, che però nel suo parere scientifico ha rilevato che il consumo di questi insetti può causare reazioni nelle persone allergiche ai crostacei e agli acari della polvere.

Insomma, siamo di fronte a una accelerazione che non sembra interessare i consumatori europei e soprattutto gli italiani, che per la stragrande maggioranza non porterebbero mai a tavola gli insetti, considerati estranei alla cultura alimentare nazionale. Lo dimostra e ribadisce una indagine Coldiretti/Ixe. Il 54% dei connazionali intervistati è infatti contrario agli insetti a tavola, è indifferente il 24%, favorevole solo il 16% e non risponde il 6 per cento.

Ma c’è di più. Il nostro sistema agroalimentare non è tutelato da decenni, perché soffre di un atavico deficit culturale. «Solo l’export enogastronomico vale il 20 per cento del totale delle esportazioni: 60 miliardi di euro nel 2022, ma potrebbero essere di più – riprende la docente esperta – Siamo danneggiati dall’italian sounding, ad esempio. Per ogni prodotto nostro di punta, come il parmigiano, ad esempio, ce ne sono almeno dieci falsi in giro per il mondo, copiati da produttori extra Ue. Dobbiamo tutelare il nostro patrimonio con un sistema di marketing diffuso e il sostegno delle istituzioni pubbliche. L’Europa ci attacca perché noi non ci difendiamo abbastanza».

L’agroalimentare ha poi riflessi diretti sul nostro comparto economico globale. Come il turismo. «Gli stranieri prenotano i ristoranti già prima dell’albergo in Italia – continua Zinnai – e il cibo è poi salvaguardia del paesaggio. Noi siamo inoltre il Paese con il maggior numero di denominazioni al mondo: 822 di prodotti Dop, Igp, Stg, registrate a livello europeo su 3.036 totali del pianeta». Eppure non si fa abbastanza per valorizzare «la nostra miniera d’oro sulla quale siamo seduti». Come il rafforzare, ad esempio, il reparto antifrode o gli atenei dove si formano gli specialisti del futuro. Sempre la Zinnai racconta che ora a Pisa, al suo dipartimento, sono impegnati due fisici italiani del Cern di Ginevra, che fanno parte del gruppo scientifico del Nobel del Bosone di Higgs: Fabrizio Palla e Piero Giorgio Verdini: «Stiamo studiando con loro come prolungare la conservabilità del cibo, per ridurre gli additivi. In pratica: più fisica, meno chimica aggiuntiva».

Non va dimenticato, tra gli attacchi al made in Italy, il famigerato Nutriscore, considerato «fuorviante» dalla nutrizionista Paola Signorelli di Milano. I punteggi e i giudizi forniti dal sistema di etichettatura Ue «senza adeguate avvertenze, sono erroneamente percepiti come valutazioni assolute sulla salubrità di un determinato prodotto, che prescindono dalle esigenze complessive di un individuo (dieta e stile di vita), dalla quantità e dalla frequenza di assunzione all’interno di un regime alimentare equilibrato. Tant’è che a molte eccellenze italiane, secondo questo sistema vengono attribuiti voti bassissimi».