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Formazione: ci sono i soldi ma non i profili

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di Laura Siviero

Il PNRR investe sulla formazione dei lavoratori destinando 6,6 miliardi per i prossimi tre anni alle politiche attive per il lavoro a cui si aggiungono i 5,97 miliardi del fondo ReactEU, per un totale di 12,6 miliardi. Poi ci sono le misure di Formazione 4.0, del Fondo Nuove Competenze, oltre ai Fondi Interprofessionali.

Insomma i soldi non mancano per la formazione aziendale, basta intercettarli e farli atterrare. Ma nella formazione bisogna crederci, altrimenti spuntano corsi poco mirati, utili solo ad accaparrare i finanziamenti, ma che non fanno avanzare il capitale umano.

Il problema delle competenze è serio: è ormai un refrain il lamento delle aziende che non riescono a trovare le figure di cui necessitano, un po’ in tutti i settori.

Secondo il sistema informativo Excelsior (realizzato da Unioncamere e Anpal) sono 1,2 milioni le assunzioni previste dalle imprese per il trimestre novembre-gennaio ma è ancora in crescita la difficoltà di reperimento, che riguarda il 46,4% dei profili ricercati, un valore superiore di circa 8 punti rispetto a un anno fa.

Quali sono i canali da cui attingono le imprese?

Il sistema dell’istruzione professionalizzante in Italia è articolato, ma inefficiente. Tra istituti tecnici, professionali, le Fondazioni Its Academy (Istituti Tecnici Superiori di due anni), Ifts (corsi di un anno) e formazione professionale affidata alle Regioni (IeFP), ci sono percorsi per tutte le età e tutti i palati. Ma stando ai risultati, siamo lontani dal modello francese o da quello tedesco, fiore all’occhiello della formazione. In Italia il 56,6% dei ragazzi sceglie ancora il liceo e solo il 43,4% un percorso professionalizzante. Tra questi, la regione Veneto è quella con il maggior numero di iscritti nei tecnici e l’Emilia Romagna per iscritti nei professionali. Ma ancora sono poco appetibili, soprattutto alle famiglie.

Una spinta al miglioramento del sistema arriva dall’evoluzione normativa, con l’ultimo decreto legge di riforma degli istituti tecnici e professionali di settembre, che intende allineare i curricula alla domanda di competenze del tessuto produttivo, orientando i percorsi verso l’innovazione digitale e quella introdotta da Industria 4.0.

La riforma prevede che gli istituti diventino più flessibili, aggiornino più velocemente i loro percorsi, si trasformino realmente in «scuole territoriali di innovazione» come previsto già dal 2017.

Le imprese sono chiamate a collaborare alla realizzazione dei patti educativi 4.0, per far sì che tali istituti insieme a Enti di formazione accreditati dalle Regioni, Its Academy, Università e Centri di ricerca possano condividere risorse professionali, logistiche e strumentali. Il decreto istituisce anche, presso il ministero dell’Istruzione, l’Osservatorio nazionale per l’istruzione tecnica e professionale per monitorare i progressi del settore.

In particolare, il PNRR investe sullo sviluppo degli ITS, scuole di eccellenza ad alta specializzazione tecnologica post-diploma, che permettono di conseguire il titolo di tecnico superiore e che negli ultimi anni hanno ottenuto sempre maggiore credito.

E investe sullo sviluppo del sistema duale, una modalità di apprendimento per i giovani basata sull’alternarsi di momenti formativi in aula a formazione pratica in contesti lavorativi. Gli Its (già esistenti) potranno contare su 450 milioni per incrementare il sistema e sviluppare le dotazioni laboratoriali. Di questi il 60% destinato agli Its del Centro-Nord e il 40% destinato a quelli del Sud. Inoltre, i rimanenti 50 milioni saranno accantonati per le nuove Fondazioni, ma se i corsi non partono entro il 2023, dovranno restituirli.

Ma sono ancora pochi i giovani inseriti nella filiera lunga della formazione professionale. «Mentre vola il sistema duale che in tre anni raddoppia le iscrizioni – si legge nel Rapporto INAPP 2022 – passando da 18mila studenti iscritti a 37mila e arrivando a 42mila nel 20-21, segna il passo il sistema dell’IeFp».

«Il gap tra domanda e offerta di competenze delle professioni riconducibili alle qualifiche e diplomi IeFp – analizza Sebastiano Fadda, presidente dell’INAPP – rappresenta un elemento di criticità nello sviluppo del sistema. Secondo le ultime stime, persiste uno scarto molto pronunciato tra fabbisogno e offerta, e necessita di una profonda rivisitazione».

Il totale degli iscritti nei percorsi di IeFp è di 250mila con una flessione del 13% rispetto all’anno precedente; in particolare, tengono i percorsi di operatore della ristorazione, del benessere e con un ampio distacco di operatore meccanico, elettrico e per la riparazione dei veicoli a motore.

A questi canali si aggiungono nell’ambito del work-based learning, la formazione in apprendistato e i tirocini extracurricolari. Strumenti di politica attiva del lavoro che hanno dimostrato di svolgere un ruolo efficace nel promuovere il passaggio dalla formazione al mondo del lavoro.

Numerosi organismi sovranazionali continuano a sottolineare le potenzialità dell’apprendistato, invitando i Paesi a promuoverne la diffusione nel quadro di una regolazione improntata alla qualità dei percorsi e degli apprendimenti, come fattore chiave per favorire il successo formativo e occupazionale dei giovani.

Upskilling e reskilling sono invece i percorsi dedicati agli adulti per sviluppare nuove competenze nello stesso ambito di lavoro o per ricoprire un ruolo diverso. Qui le aziende possono contare sui fondi della formazione continua tra Fondi interprofessionali, Fondi Europei e oggi del PNRR.

I Fondi interprofessionali, sotto la supervisione dell’ANPAL (l’Agenzia nazionale politiche attive per il lavoro), permettono alle aziende di utilizzare lo 0,30% della trattenuta INPS, possono decidere se lasciare questi fondi allo Stato oppure aderire a un Fondo ed erogare formazione ai dipendenti.

Mentre si aspetta che le misure entrino a regime, molte aziende si sono costruite le loro Academy. Da Cartier a Yamamay, tanto per citarne alcune, molte passano per questa porta.

L’Accademia orafa della maison, l’Officina dei Talenti, è nata proprio perché la richiesta di lavoro è aumentata e la manodopera era difficile da reperire. Il percorso (a carico dell’azienda) prevede tre settimane full-time di formazione, una prova finale e se considerati all’altezza, un contratto di sei mesi in produzione, di cui due in affiancamento e quattro in autonomia. Se al termine di tutto il training si è considerati idonei, si può ambire a un contratto più lungo con la maison Cartier.

Yamamay a sua volta ha creato la Yamacademy. L’azienda di Gallarate della famiglia Cimmino punta sulla formazione per stare al passo con sostenibilità e evoluzione tecnologica. «L’Academy esiste da quando c’è l’azienda, dal 2001 – spiega Barbara Cimmino, responsabile della Csr e Innovation – l’intimo è un prodotto complesso da vendere e non ci sono figure professionali già formate. Il manager di negozio non è un lavoro sexy, non ci sono corsi e pertanto è sempre considerato l’ultima spiaggia. E il reskilling ha permesso di riposizionare figure che avremmo perso per via dei nuovi processi industrializzati. I docenti sono un mix tra consulenti esterni, docenti universitari e risorse interne. Facciamo svariate sessioni all’anno grazie ai Fondi nuove competenze. Completare le competenze generali con quelle specifiche dell’azienda è fondamentale».

E ci sono aziende come Azimut Benetti (il re degli yatch, per intenderci) che, invece, vanno alla fonte e mandano i loro dipendenti a insegnare nelle scuole, per coltivare gli studenti da giovani.

«La nautica negli ultimi 24 mesi è andata molto bene – dichiara Marco Valle, ad del gruppo – gli ordini sono sul lungo periodo, dunque possiamo garantire assunzioni a lungo termine. Ci siamo trovati con una richiesta forte e abbiamo spinto sulla formazione con le scuole professionali e secondarie del territorio, anche mandando nostri dipendenti a fare formazione per 40 ore. Così tra formazione teorica e pratica i ragazzi escono con le idee un po’ più chiare. Non garantiamo a tutti l’assunzione, ma creiamo un bacino da cui attingere. La percentuale di inserimenti è alta: su 150 interinali ne abbiamo confermati i due terzi. Ed è una bella esperienza umana anche per i nostri tecnici». Una volta entrati in azienda ricevono una ulteriore formazione di sei mesi: «Ci deve essere un collegamento più stretto con le aziende, la curvatura dei percorsi deve essere più specifica, bisogna andare nel pratico degli insegnamenti. Stiamo ampliando gli accordi con altre scuole anche a Savona, dove stiamo sviluppando un’Academy per comandanti con l’istituto nautico, poi Viareggio, Livorno, Fano e in Brasile. Anche là facciamo formazione».

In Piemonte nascono anche le Academy di filiera, composte da Agenzie formative, imprese e altri soggetti. Fino ad ora sono state individuate le filiere sui Sistemi di mobilità e i green jobs e il tessile, abbigliamento, moda. Quest’ultima, partita a Biella nei giorni scorsi comprende 13 agenzie formative, 38 imprese della filiera e 18 altri soggetti tra associazioni datoriali, fondazioni Its, Università, poli di innovazione.