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Il Bonus non è di casa: l’incentivo che scontenta tutti

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Il superbonus della discordia. Un inutile moltiplicatore di costi, come l’aveva definito l’ex premier Mario Draghi perché toglie alle parti l’interesse a trattare sul prezzo degli interventi di ristrutturazione?

Un balzello ai danni del bilancio dello Stato, come ha lasciato intendere il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, perché già ci costa 60 miliardi ma ora il conto, a causa dei rincari delle materie prime, rischia di farsi più salato con uno sforamento che potrebbe toccare quota 38 miliardi?

Un onere per il sistema bancario, spesso in difficoltà ad accettare la cessione di crediti fiscali che l’Enea ha stimato in oltre 60 miliardi di euro (una cifra enorme che ha dato origine a truffe e crediti fittizi per 4 miliardi di euro)?

Oppure un affare, un moltiplicatore di PIL (secondo Nomisma il superbonus ha generato un valore economico di 124,8 miliardi di euro, pari al 7,5% del Prodotto interno lordo del Paese), uno strumento per creare posti di lavoro (634mila nuovi occupati nel settore delle costruzioni) e consentire anche alle famiglie a basso reddito (483mila) di effettuare a costo zero lavori di riqualificazione energetica profonda della propria abitazione che mai avrebbero potuto sostenere?

Da qualunque prospettiva lo si guardi l’incentivo, a cui il decreto Rilancio del 2020 ha affidato il compito di rilanciare il settore edilizio dopo la Pandemia puntando a rendere più efficiente dal punto di vista energetico e sicuro dal punto di vista statico e sismico l’immenso patrimonio immobiliare degli italiani (6mila miliardi di euro), fa discutere. E per il futuro sarà ridimensionato.

Come cambierà l’incentivo dal 2023

Dal 110% il rimborso che lo Stato offrirà ai proprietari (di abitazioni facenti parte di condomìni) scenderà al 90% per il 2023. Nel 2024, come già previsto, il bonus scenderà al 70% delle spese sostenute per poi scendere ancora (al 65%) nel 2025, ultimo anno di applicazione della misura (salvo proroghe). Potrà mantenere il rimborso al 110% anche nel 2023 solo chi ha già presentato la Comunicazione di inizio lavori asseverata (cosiddetta Cilas) entro il 25 novembre.

Discorso diverse invece per le abitazioni unifamiliari (cosiddette villette). Il bonus resterà al 110% fino al 31 marzo 2023 a condizione che al 30 settembre scorso sia stato portato a termine almeno il 30% dei lavori. Per i nuovi interventi, il bonus, che sarebbe dovuto terminare a fine 2022, verrà confermato, seppur con la percentuale del 90%, anche per il 2023. Ma per usufruirne bisognerà sottostare a un doppio vincolo. L’immobile oggetto di intervento dovrà essere una prima casa e i proprietari non dovranno superare una determinata soglia di reddito (15mila euro l’anno, innalzati in base al quoziente familiare).

Questa la “cura dimagrante” del governo Meloni che l’esecutivo ha deciso di anticipare nel decreto legge Aiuti quater approvato la settimana scorsa dal Consiglio dei ministri. Un giro di vite annunciato dal ministro Giorgetti, nella relazione al Parlamento sulla Nota di aggiornamento al Def. Peraltro non del tutto condiviso nella maggioranza, con delle tensioni che potrebbero aprire delle crepe (si veda l’altro servizio a pagina 31).

La riduzione dell’incentivo era attesa in Manovra e invece è arrivata subito con decreto legge. Segno che l’esecutivo non ha voluto perdere tempo prezioso. Ci vorranno infatti almeno altre tre settimane prima che la Manovra veda la luce (il cambio di governo a ridosso della sessione di bilancio ne ha inevitabilmente rallentato i tempi). Meglio allora anticipare i tempi anche per far metabolizzare le novità ai diretti interessati: proprietari e imprese edilizie che infatti sono sul piede di guerra e chiedono certezze. Perché, dicono, con il cambio in corsa delle regole si rischia il caos totale.

Le imprese non ci stanno

L’Associazione bancaria italiana (Abi) e l’Associazione dei costruttori edili (Ance) hanno scritto al governo per chiedere di sbloccare i crediti incagliati.

Un allarme originato dalla decisione di Poste Italiane di sospendere gli acquisti di crediti fiscali legati ai bonus edilizi. Non solo superbonus, dunque, ma anche sisma bonus, ecobonus, bonus facciate e ristrutturazioni edilizie standard. Un brutto segnale perché Poste Italiane era stato l’unico intermediario creditizio a continuare ad acquistare crediti fiscali quando ormai tutti gli altri operatori avevano alzato bandiera bianca (il primo è stato Cassa depositi e prestiti, poi a ruota Intesa Sanpaolo, Unicredit, Bnl e a seguire tutti gli altri). Di qui la richiesta di Abi e Ance di intervenire subito con «una misura tempestiva e di carattere straordinario» per «scongiurare al più presto una pesante crisi di liquidità per le imprese della filiera che rischia di condurle a gravi difficoltà». Solo in Veneto, secondo la stime dell’Ance sarebbero ben 4.200 le imprese a rischio chiusura.

Nella missiva i presidenti Antonio Patuelli (Abi) e Federica Brancaccio (Ance) hanno chiesto al governo di consentire «agli intermediari di ampliare la propria capacità di acquisto utilizzando una parte dei debiti fiscali raccolti con gli F24, compensandoli con i crediti da bonus edilizi ceduti dalle imprese».

Il rischio che il blocco delle cessioni dei crediti possa determinare una pesante crisi di liquidità per le imprese edilizie è reale. L’Ance ha chiesto che almeno Cdp e Poste continuino ad accettare i crediti.

«È in corso una speculazione pazzesca», ha affermato Brancaccio, dopo lo stop annunciato da Poste. «Chi ancora acquista crediti lo sta facendo a percentuali bassissime, sfruttando la disperazione delle imprese». Se prima il credito al 110% veniva acquistato in media al 102%, ora si arriva anche all’85%. Le banche affermano di aver esaurito la capacità fiscale, ma Poste, Cdp e le altre partecipate non hanno questo problema, la capacità la hanno, ma non comprano».

L’Ance quindi chiede nell’immediato «un input del governo» e la convocazione di un tavolo con l’Abi e le associazioni di categoria per trovare possibili soluzioni.

Giorgio Lupoi, il presidente dell’Oice (l‘associazione di categoria, aderente a Confindustria, che rappresenta le organizzazioni italiane di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica) ha denunciato come i tempi medi di cessione dei crediti siano arrivati a oltre quattro mesi, «con un aggravio di oneri e balzelli assurdi per i professionisti, a partire dai video per gli advisor scelti dalle banche».

Già i video. La società di consulenza Deloitte a fine settembre ha comunicato di non ritenere più sufficienti le asseverazioni dei tecnici sul completamento del 30% dell’intervento e ha chiesto di integrare la documentazione con dei video di prova. Una richiesta che ha subito generato una risposta indignata delle associazioni sindacali di architetti e ingegneri, della Rete delle professioni tecniche (Rpt) e del Consiglio nazionale degli architetti.

Le truffe

La ragione di tanta diffidenza affonda le radici nell’enorme mole di crediti generati dal Superbonus: 60,5 miliardi secondo i dati dell’Enea, di cui almeno 47 sarebbero tuttora incagliati. Secondo le ultime stime di Cna sarebbero oltre 60mila le imprese coinvolte nel blocco della cessione dei crediti edilizi con oltre 150mila cantieri bloccati e un milione di lavoratori (tra operai e tecnici) a rischio. Ma le truffe sono all’ordine del giorno.

Enea parla di 4 miliardi e non passa giorno che non balzi agli onori della cronaca un tentativo di raggiro. L’ultimo in ordine di tempo è arrivato lunedì da Caserta. La Guardia di finanza ha sequestrato crediti d’imposta fasulli per lavori edili mai eseguiti. Il meccanismo fraudolento pare ormai essere collaudato.

I crediti d’imposta fittizi vengono ceduti con l’opzione dello “sconto in fattura” ad aziende edili compiacenti che li utilizzano per acquistare immobili da demolire e ricostruire grazie alle agevolazioni previste dal Superbonus. I lavori spesso non iniziano neppure ma le aziende si portano a casa indebite compensazioni fiscali.

Giorgetti rassicura, ma solo per il presente

Il ministro dell’Economia ha tranquillizzato le imprese ma ha anche annunciato una stretta sul mercato dei crediti proprio per frenare le operazioni fraudolente.

Il numero uno del Mef ha assicurato che il governo è al lavoro per mettere a punto un provvedimento di «immediato soccorso» che risolva per il presente il problema dello «stock di crediti esistente». Ma per il futuro, ha avvertito, le cose cambieranno.

Chi nei prossimi anni sceglierà l’incentivo dovrà convincersi che la cessione dei crediti «non è un diritto ma una possibilità», altrimenti «finiremmo per creare una moneta virtuale che non è stata creata», ha chiarito il ministro.

In futuro l’unica certezza per chi sceglierà l’incentivo sarà, quindi, solo la possibilità di continuare a detrarre una quota delle spese sostenute dalla propria dichiarazioni dei redditi. Con il Superbonus al 90%, quindi, i contribuenti dovranno rassegnarsi che qualcosa, anche un 10%, di tasca propria dovranno metterlo.

E questa per il Mef è una soluzione equa destinata a sanare quella che il governo ritiene la più grande incongruenza del Superbonus, ossia il fatto di essere stata, finora, una misura «altamente costosa per le casse dello Stato che però è andata a vantaggio di pochi», come ha il premier Meloni, «perché dai dati del Mef è emerso che ad avvantaggiarsi del bonus sono stati soprattutto i titolari di redditi medio-alti».

Segno che in qualche modo il Superbonus ha tradito la sua ragion d’essere: consentire la riqualificazione del patrimonio edilizio a beneficio soprattutto delle classi meno abbienti che mai avrebbero potuto affrontare i costi di una ristrutturazione. Di qui il giro di vite deciso dal governo a partire dal 2023.

Una stretta che però rischia di penalizzare ancor di più i titolari di redditi bassi. Con il bonus al 90% e la frenata sulla cessione dei crediti, il Superbonus sarà scelto solo da chi è «fiscalmente capiente» e cioè paga un’Irpef tale da poter sostenere rimborsi fiscali (in 4 anni) di decine di migliaia di euro. Gli altri, non potendo più fare affidamento (o potendolo fare in misura molto più limitata) sullo sconto in fattura o sulla cessione del credito, dovranno rinunciarci per sempre.