Inchieste

Il de profundis del superbonus

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di Saverio Fossati

Il superbonus, ridotto sapientemente da vivace agevolazione a malato terminale già nel corso del 2022, grazie agli interventi dell’agenzia delle Entrate e del Parlamento, ha ormai abbandonato il mondo reale per entrare in quello dei ricordi. Non perché si siano ulteriormente ristretti i già rigorosissimi limiti documental-burocratici esistenti alla data del 16 febbraio 2023 ma semplicemente perché nessuno, in base al decreto legge 11/2023 varato dal Consiglio dei ministri ed entrato in vigore il 17 febbraio 2023, potrà più avere lo sconto in fattura o la cessione del credito fiscale.

A meno che non sia già stata presentata la Cilas per i lavori e, per i condomìni, sia anche stata varata la delibera assembleare che abbia approvato l’esecuzione dei lavori prima dell’entrata in vigore del testo del Dl; per i lavori di demolizione e ricostruzione si guarda alla data di presentazione dell’istanza per ottenere il titolo abilitativo (come il permesso di costruire). In sostanza, chi aveva avviato le pratiche ma ancora non aveva presentato la documentazione in Comune al 16 febbraio scorso non potrà utilizzare il bonus, a meno di non detrarre in dieci anni l’importo agevolato, anticipando però l’intera somma per pagare l’impresa (si veda l’altro servizio a pagina 12).

Ma va ricordato anche un altro effetto del Dl 11/2023: il blocco sui crediti riguarda tutti i bonus edilizi, cioè anche bonus ristrutturazioni al 50%, ecobonus al 65%, sisma bonus sino all’85%, bonus per gli impianti fotovoltaici, bonus barriere architettoniche. Per queste tipologie di lavori il riferimento del 16 febbraio riguarda il “titolo abilitativo”, quindi non necessariamente la Cilas. Attenzione, però: quando non ci sono titoli abilitativi va fatto riferimento all’inizio dei lavori, quindi, come accade per le numerosissime installazioni di infissi nuovi, occorre che questi siano già stati avviati al 16 febbraio 2023. In questi casi, in sostanza, il committente rinuncia allo sconto in fattura  (magari ha pure già consegnato un acconto) oppure chiede all’impresa di fare carte false attestando che i lavori erano già iniziati.

È da ben prima delle elezioni che il Governo Draghi tuonava contro il superbonus, sostenendo che il costo erariale era elevatissimo e che le truffe risultavano numerosissime. L’agenzia delle Entrate e i decreti legge che ogni due mesi in media cambiavano le regole, rendendole sempre più complesse, avevano lo scopo preciso di scoraggiare gli interventi. Ma il  miraggio del “tutto gratis”, anche se in realtà non poteva essere così, continuava a sedurre molti, soprattutto in ambito condominiale.

La questione truffe è stata rapidamente archiviata perché, per quanto si trattasse di importi elevati, ha riguardato tra il 3% e il 5% dei casi. Ma a rendere la vita complicata a committenti e imprese è stata soprattutto la responsabilizzazione di chi acquistava il credito, cioè gli istituti bancari che hanno ormai da tempo raggiunto il plafond e hanno alzato sempre più lo “sconto” sull’importo di credito acquistato. Nel corso del 2022 si era ormai arrivati a comprare 110 contro 95, quindi la differenza restava tutta a carico del committente: ma era la difficoltà oggettiva di convincere la banca a comprarsi il credito, superando infiniti accertamenti, a pesare ancor di più. Ora questi problemi restano, non solo: nel Dl 11/2023 è stato vietato agli enti pubblici di comprare i crediti fiscali (come aveva iniziato a fare la Regione Sardegna e come stavano per fare Piemonte, Campania e Basilicata)

La politica dei Governi succedutisi negli ultimi 12 mesi è stata quindi assolutamente coerente nella lotta al superbonus, condotta con lo scudo del costo erariale (il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ispiratore del Dl 11/2023, ha parlato di 110 miliardi), dimenticandosi però che, come ha ricordato l’Ance, mai contestata, una buona parte di quei soldi (il 47%) torna al mittente e che il superbonus ha generato molti posti di lavoro, come confermano i sindacati: per la Filca-Cisl si tratta di 100mila assunzioni a rischio nel settore.

L’Ance, con 15 miliardi di crediti fiscali attualmente bloccati, aveva parlato di effetti devastanti: «25mila imprese a rischio fallimento, 130mila disoccupati in più nel settore delle costruzioni (senza contare le aziende della filiera) e problemi per circa 90mila cantieri».

Ma Giorgetti la pensa diversamente: «I crediti di imposta hanno prodotto anche benefici per alcuni cittadini, ma hanno posto alla fine in carico a ciascun italiano duemila euro a testa. Questo il bilancio di questa esperienza».

E una cosa va detta: l’impennata dei costi dei materiali necessari ai lavori li ha resi costosissimi, così ora, secondo i dati di Confartigianato Mestre, a fronte di 372.303 asseverazioni depositate entro il 31 gennaio scorso, lo Stato dovrà farsi carico di una spesa di 71,7 miliardi di euro. Ma dato che in Italia sono presenti quasi 12,2 milioni di edifici residenziali, gli interventi hanno interessato poco più del 3,1% delle abitazioni. Un po’ poco.

Giorgetti ha quindi alcuni argomenti forti per sostenere la validità del Dl 11/2023 ma il più pesante è quello non detto: presentarsi come il risanatore dei conti pubblici non è una carta da poco nella futura lotta di successione per la guida della Lega e, chissà, anche per avere brillanti credenziali in Europa. Si spera solo che qualcuno dedichi attenzione ai cittadini rimasti in mezzo al guado e studi una sanatoria per uscire dalle sabbie mobili del superbonus.