Inchieste

Incarichi: lavorare con i tribunali è un inferno

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di Alessandro Luongo

Lavorare con i tribunali è un vero inferno per grafologi e traduttori. Con anni di attesa per riscuotere i compensi, solleciti estenuanti e una paga da fame. Il Testo unico in materia di spese di giustizia che prevede l’adeguamento Istat è difatti fermo come importi a vent’anni fa.

I professionisti che hanno a che fare con i palazzi di giustizia sono pagati a vacazione, lasso di tempo di 2 ore. La prima vacazione è valutata circa 15 euro, quelle successive sono pari a 8,15 euro, poco più di 4 euro lordi. Ecco due casi esemplari segnalati dal Colap, Coordinamento libere professioni e microimprese, che raggruppa 200 associazioni con oltre 300mila iscritti ed è presieduto da Emiliana Alessandrucci.

«Non accetto più incarichi dal Tribunale di Palermo dal 2019 – racconta Rossella Tramontano, 53 anni, ex Ctu e perito del palazzo di giustizia siciliano – dall’ultima liquidazione ottenuta dopo tre anni di attesa. La procedura per ottenere il pagamento è molto macchinosa. Al termine del mio incarico, in genere dopo la prima udienza preliminare, inserisco la mia istanza di pagamento sulla piattaforma Siamm, e attendo che il giudice la approvi. A quel punto possono passare due mesi come tre anni, appunto». Ma c’è di più. Il giudice ha la facoltà di tagliare l’importo finché lo ritiene congruo. «Nel 2015, dopo 6 mesi di duro lavoro all’ufficio di intercettazioni, avanzai la mia richiesta di 7.500 euro, il magistrato decise di riconoscermene solo 1.500. Quando protestai, mi rispose che potevo fare ricorso».

Per fortuna anche Alessandra Millevolte, 64 anni, grafologa di Ancona, non lavora solo per il Tribunale della sua città, da cui riceve quattro o cinque incarichi l’anno, altrimenti avrebbe dovuto cambiare mestiere da tempo. Una decina di anni fa fu chiamata per una perizia grafologica e attese 4 anni per riceverne il pagamento di circa 2mila euro. «Il Tribunale ha voluto aspettare la fine del processo per rispondere alla mia richiesta di liquidazione; in genere i tempi di pagamento sono più lunghi con i giudici, più brevi con le procure».

Ogni tribunale è un mondo a parte, e conserva molta discrezionalità.

«Di norma – riprende la libera professionista – il giudice può provvedere al decreto di liquidazione quando ha tutta la documentazione, ma molti non lo fanno. Una volta emesso il decreto, bisogna poi aspettare eventuali ricorsi dalla persona condannata e solo allora siamo abilitati all’emissione della fattura. Una mia collega del Friuli Venezia Giulia sta aspettando un pagamento da ben sette anni».