Inchieste

La Grande Guerra del gas: inverno gelido per famiglie e imprese

Scritto il

di Luca Cereda

Una guerra dentro la guerra. La crisi mondiale dell’energia, amplificata dal conflitto in Ucraina ormai giunto al settimo mese, è diventata terreno di scontro senza precedenti tra Europa e Russia, con una spirale di strette e di ritorsioni che rischiano di impattare in maniera ancora più violenta sui prezzi, cresciuti a tre cifre percentuali in meno di due anni. E l’escalation purtroppo sta accelerando in questo inizio di settembre: dopo che il G7 ha approvato un tetto al prezzo del petrolio russo, e con l’Unione Europea che si appresta a fare altrettanto con il gas di Mosca, i vertici della compagnia di Stato Gazprom hanno annunciato la chiusura a tempo indeterminato del gasdotto Nord Stream 1, che rifornisce l’Europa: ufficialmente per un guasto a una turbina, ma molti osservatori la interpretano come una risposta minacciosa del presidente russo Vladimir Putin all’Occidente, in un gioco a scacchi dai costi imprevedibili.

Le esportazioni di gas russe si erano già ridotte del 70% rispetto al periodo prebellico con uno stillicidio di tagli pretestuosi e chiusure temporanee; ora Gazprom ha smesso del tutto di pompare metano. Se il rubinetto resterà chiuso sine die, si apriranno in Europa scenari da economia di guerra, cui tutti si stanno rassegnando: interruzioni di forniture e tagli ai consumi, con dietro l’angolo una recessione economica. Nonostante l’Italia sia il paese europeo che più ha lavorato per ridurre la dipendenza energetica da Mosca: abbiamo abbassato la quota di idrocarburi russi dal 40 al 18% del fabbisogno totale. Ma non basta l’aumento di importazioni di metano da altri Paesi, grazie agli accordi del premier Mario Draghi con Algeria, Egitto, Qatar, Congo e Azerbaijan. Né saranno d’aiuto nell’immediato i due rigassificatori galleggianti acquistati dalla Snam, che arriveranno non prima del maggio 2023. Secondo Davide Tabarelli, di Nomisma Energia, anche con le scorte nazionali riempite all’85-90%, senza fatti nuovi «all’inizio di gennaio saremo costretti a razionare i consumi. Ma sarebbe meglio cominciare prima, per non dover tagliare pesantemente nei mesi più freddi».

Un vero e proprio “terremoto economico” quello evocato dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che richiede risposte immediate senza attendere il futuro governo dopo le elezioni. Se i razionamenti sono oramai scontati, si tratta di vedere come verranno ripartiti tra tagli alle forniture delle imprese, limitazioni al riscaldamento, chiusure anticipate per uffici pubblici e negozi. In caso di tagli pesanti per le imprese, Bonomi paventa lo spegnimento fino a «un quinto dell’industria italiana. Sono a rischio il sistema industriale italiano, il reddito e l’occupazione». Anche se indicazioni rassicuranti arrivano dal piano di risparmio energetico che il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani sta mettendo a punto: un piano che punta a ridurre dai 3 ai 6 miliardi di metri cubi i consumi in un anno, per lo più attraverso misure soft e su base volontaria di famiglie e imprese. Per ora.

Da Cernobbio Daniele Franco ammette «prospettive problematiche nell’immediato». La bolletta energetica del Paese, cioè quanto costano le importazioni nette di energia – ha ricordato il ministro dell’Economia – «nel 2021 era di 43 miliardi e nel 2022 potrebbe salire a 100 miliardi, ossia circa 3 punti di Pil; e vuol dire un deflusso di risorse verso l’estero». La Cgia di Mestre lancia invece l’allarme sugli effetti sociali: almeno 4 milioni di famiglie sono a rischio di povertà energetica, quindi 9 milioni di italiani. E il 30 settembre, con l’adeguamento trimestrale dell’Arera per le tariffe di luce e gas, si annunciano aumenti esorbitanti se prima non interverrà il Governo.

Secondo il Centro studi di Confindustria, il blocco prolungato deciso dalla Russia potrebbe avrebbe un «impatto totale sul Pil in Italia, nell’orizzonte 2022-2023, di quasi -2% in media l’anno». Molte imprese energivore hanno iniziato a fermare la produzione o si preparano a farlo, incapaci di reggere l’urto di bollette in alcuni casi decuplicate: i listini del gas alla Borsa di Amsterdam hanno ritracciato dal record storico di 339 euro a megawattora, ma continuano a restare molto volatili tra i 200 e i 300 euro, un livello totalmente insostenibile: a inizio 2021 erano intorno ai 15 euro all’ingrosso; lo scorso febbraio, all’inizio della guerra, costava già 80 euro. L’industria cartaria, ceramica, metallurgica, meccanica e alimentare sono quelle più in affanno. Ha tenuto banco quest’estate la denuncia di Francesco Francese, proprietario di un’impresa conserviera campana, che ha postato provocatoriamente sui social le foto delle bollette di luglio 2021 e del luglio di quest’anno: la prima è di 120mila euro, la seconda sfiora il milione: «Gli imprenditori sono lasciati soli in mezzo alla giungla energetica».

Le imprese sono sempre più in agitazione. Anche perché per molte è scattato anche il problema dell’approvvigionamento: alla scadenza dei contratti, diversi fornitori di gas hanno deciso di rinnovarli solo ai clienti storici, altri chiedono forti anticipi o fideiussioni bancarie a garanzia del pagamento delle prossime bollette a dir poco salate.

Non è solo un guaio per la manifattura: nessun comparto economico è risparmiato, da bar e ristoranti alla distribuzione alimentare, dagli esercenti fino ai trasporti. Settori diversi ma con unico denominatore comune: il rischio di chiusura. I numeri della crisi energetica vengono aggiornati continuamente. A causa del caro-bolletta 300mila imprese sono ad alto rischio di chiusura entro fine anno, seicentomila i posti di lavoro che verrebbero spazzati via, avverte Confcommercio-Imprese per l’Italia, che denuncia altresì gli effetti perversi dell’inflazione, balzata in agosto all’8,4%, e dovuta per quasi l’80% proprio all’impennata dei prezzi delle materie prime energetiche.

Del resto, la componente gas è il “motore” di tutti gli aumenti: in Italia contribuisce alla produzione di energia elettrica per il 42%. Così un megawattora di elettricità che costava in media 125 euro nel 2021, lo scorso febbraio prima dello scoppio della guerra quotava 211 euro; a fine agosto ha toccato un picco di 870 euro prima di tornare a 700. Dinamica più o meno simile per carbone e petrolio. Quest’ultimo oltretutto va a incidere anche sull’autotrasporto e sull’intera catena logistica. Ma i capitoli di spesa più spinosi restano luce e gas: secondo Confcommercio un hotel con un consumo di 260mila kWh l’anno pagherà circa 137mila euro (+76%), un ristorante spenderà oltre 18mila euro mentre un negozio no food avrà rincari vicini al 90%.

Anche la Fipe (Federazione pubblici esercizi)  quantifica l’impennata delle bollette: nel luglio 2021 un bar spendeva circa 2.300 euro per 10.031 kWh di energia, mentre un anno dopo sborsa, a parità di consumi, circa 6.950 euro. Secondo Confartigianato, da settembre 2021 a oggi le micro e piccole imprese hanno pagato per l’energia elettrica 21,1 miliardi in più rispetto all’anno precedente. Una batosta che rischia di ingigantirsi raddoppiare a fine nel 2022. Numeri allarmanti anche dalla Confesercenti, che paventa il rischio di un’uscita dal mercato del 10% delle imprese (circa 90mila), per un totale di 250mila posti di lavoro persi per le bollette impossibili da pagare.

Il caro energia piega le piccole e medie imprese, al Sud come al Nord. Nadia dal Bono, direttrice generale Confesercenti di Cuneo, avverte: «Urge un intervento concreto da parte del governo, altrimenti molte attività commerciali medio piccole chiuderanno. È impensabile attivare un mutuo per pagare le bollette. Per evitare di tornare al lume di candela – ha detto dal Bono – è necessario mettere in atto tutte le strategie possibili. Ma a più ampio respiro, e non solo per grandi imprese ed energivori». «Servono subito un credito d’imposta sugli aumenti energetici e un tetto al costo dell’energia, altrimenti non è più possibile lavorare» rincara il direttore generale di Fipe, Roberto Calugi.

Finora nel 2022 il governo Draghi ha varato misure per circa  50 miliardi contro il rincaro dei prezzi, a favore di imprese e famiglie, tra cui riduzione degli oneri di sistema sulle bollette di luce e gas, taglio dell’Iva sul gas per usi civili, crediti di imposta sulle bollette energetiche delle imprese, riduzione delle accise sui carburanti. Uno sforzo ingente ma non sufficiente a contrastare i rincari. Ora è pronto ad accelerare su nuove misure, forse già questa settimana, una volta trovate le coperture: operazione non facile visto che servono una decina di miliardi, senza scostamenti di bilancio. A dispetto delle pressioni di diversi partiti politici, che cavalcano il caro energia invocando interventi per 30 miliardi, anche aumentando il deficit. Oltre a interventi come quelli già varati su crediti e Iva, nel nuovo pacchetto di aiuti sono attesi la cassa integrazione gratuita per le aziende che hanno rallentato o bloccato la produzione, degli incentivi alle imprese che consumano più energia da fonti rinnovabili e il rafforzamento della rateizzazione delle bollette.

L’ultimo provvedimento del governo Draghi dovrebbe essere la proroga del taglio da 30,5 centesimi al litro sui carburanti, in scadenza il 20 settembre. Poi la palla passerà al successore. I tempi sono cruciali, la crisi non aspetta. Gli ultimi dati rilasciati dall’Inps sulla cassa integrazione dicono che nel periodo gennaio-luglio la Cigs (l’ammortizzatore per le difficoltà strutturali) è schizzata a +45,65% rispetto allo stesso periodo 2021, interessando soprattutto industria (+35,81%), edilizia (+34,88%) e commercio (+103,62%). n