Inchieste

Partite IVA, declino senza fine

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di Giorgio Costa

Lavoratori autonomi, artigiani, esercenti, piccoli commercianti e liberi professionisti iscritti agli ordini o alle casse. Sono le Partite IVA che costituiscono il mondo del lavoro indipendente, la categoria professionale che è stata la più colpita dal Covid.

In questi ultimi anni questo popolo di microimprenditori si è decisamente assottigliato: se a febbraio 2020 (mese pre-pandemia) lo stock complessivo ammontava a 5.194.000 unità, a dicembre 2021 il totale era sceso a quota 4.873.000 unità (-6,2%, pari a 321mila unità in meno). A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre che ha elaborato i dati occupazionali dall’Istat.

Un’emorragia che non si ferma visto che tra febbraio e ottobre 2022 le Partite IVA sono diminuite ancora di 205mila unità mentre i dipendenti sono aumentati di 377mila. Va comunque segnalato che la contrazione del numero dei lavoratori autonomi inizia ben prima dall’avvento del Covid. Il picco massimo di numerosità era stato toccato a giugno 2016, quando questi microimprenditori avevano raggiunto quota 5.428.000; successivamente c’è stato un tendenziale declino fino a raggiungere il minimo toccato nel dicembre scorso (4.873.000 unità) ma con un dato che sarà ulteriormente rivisto al ribasso a fine 2022.

Il declino riguarda le professioni classiche e i soggetti di maggiori dimensioni (l’uscita dal regime fiscale forfettario con aliquota al 15% – che salirà da 65mila a 85mila euro con la prossima legge di bilancio – rende il lavoro autonomo decisamente poco conveniente dal punto di vista tributario oltre la soglia degli 85mila euro) ma non i nuovi business digitali in cui la componente di lavoro autonomo è in crescita.

«Già parcellizzati, i lavoratori autonomi – spiega Roberto Scurto, alla guida di partita Iva24, una società di servizi digitali proprio per le Partite IVA– finiscono per diventare sempre più piccoli dal punto di vista dimensionale, stante il disincentivo all’aggregazione e alla crescita. Le Partite IVA finiscono per condividere le istanze ma non i business e si condannano a un vero e proprio nanismo imprenditoriale».

Una crisi, però, che non è trasversale a tutti i settori. «Dal nostro osservatorio – spiega ancora Scurto – possiamo vedere che il segmento del business digitale è in forte espansione. Sviluppatori, programmatori, social e media manager hanno accelerato la crescita e si aprono nuove posizioni e le aziende non trovano i profili di cui hanno bisogno. In declino costante invece le attività legate al turismo e alla ristorazione».

Ma quel che è più grave è che le difficoltà del lavoro autonomo riguardano soprattutto i giovani. «Specie nell’ambito delle professioni, avvocati, commercialisti o architetti con una certa età hanno mantenuto i redditi – spiega ancora Scurto – mentre i giovani, in particolare al Centro-Sud, sono in fortissima difficoltà, da Roma in giù presentano ricavi davvero minimi. Tanto bassi che si può dire che un giovane oggi fatica il triplo rispetto a un suo pari età di 20 anni fa. E la conseguenza è l’abbandono della partita Iva dopo 6-7 anni per migrare verso il lavoro pubblico».

La crisi pandemica e le conseguenti limitazioni alla mobilità, il calo dei consumi, le tasse e l’impennata del costo degli affitti sono le principali cause che hanno costretto molte partite Iva a chiudere definitivamente l’attività. Se, inoltre, teniamo conto che negli ultimi 10 anni le politiche commerciali della grande distribuzione organizzata e il boom delle vendite on line sono diventate sempre più mirate e aggressive, per molti artigiani e altrettanti piccoli commercianti non c’è stata via di scampo. L’unica soluzione è stata quella di gettare definitivamente la spugna.

«Per tentare una inversione di tendenza, oltre ad abbassare le tasse, rilanciare i consumi e ad alleggerire il peso della burocrazia è necessario, in particolar modo nell’artigianato, rivalutare il lavoro manuale perché – spiegano dalla Cgia di Mestre – negli ultimi 40 anni c’è stata una svalutazione culturale spaventosa del lavoro manuale e occorre ridare dignità, valore sociale e un giusto riconoscimento economico a tutte quelle professioni dove il saper fare con le proprie mani costituisce una virtù aggiuntiva che rischiamo colpevolmente di perdere».

Anche a questo proposito, il governo, nei giorni scorsi, ha riunito il tavolo per il lavoro autonomo. Il ministro del lavoro Marina Calderone ha ribadito le necessità di sinergia e collaborazione tra tutte le professioni, allo scopo di procedere nel modo più rapido ed efficace possibile.

«L’incontro – spiega Aldo Campo, consigliere nazionale dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili con delega all’area Lavoro – è stato importante e ci ha mostrato una forte sensibilità del governo al tema di maggiori tutele per il lavoro autonomo. Ora ce ne dobbiamo occupare veramente altrimenti continuerà l’emorragia delle Partite IVA a danno di un intero sistema economico che ha assoluta necessità di questi profili professionali».

Intanto, nel terzo trimestre 2022, come segnala il MEF, sono 94.080 le nuove Partite IVA (-12,4% sullo stesso periodo 2021): sono state aperte per il 69,7% da persone fisiche, il 21,8% da società di capitali e il 2,8% da società di persone. Il commercio registra sempre il maggior numero di avviamenti di Partite IVA con il 20% del totale, seguito da attività professionali (17%) e costruzioni (10,4%).