Inchieste

Ponte a ostacoli: terremoti, ambiente, costi e contenziosi

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di Federico Bosco

Il governo di Giorgia Meloni ha accettato di rilanciare il progetto per la costruzione del ponte per collegare la Sicilia alla Calabria attraverso un ponte sospeso su uno stretto largo 3,7 chilometri che si trova in una delle regioni sismiche più attive del Mediterraneo.

Il progetto è stato approvato «salvo intese» e i dettagli tecnici sono in fase di elaborazione. Per adesso si sa solo che il decreto assegna al ministero dell’Economia e delle finanze il ruolo di azionista di maggioranza della Stretto di Messina S.p.A. (società creata nel 1981 appositamente per costruire il ponte ma finita in liquidazione nel 2013) mentre al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti vengono attribuite funzioni di controllo e di vigilanza sia sul piano tecnico che operativo.

La ragione dell’incertezza sono i notevoli ostacoli che la costruzione del ponte presenta ancora oggi: le difficoltà normative, tecniche, i dubbi sui costi di realizzazione e sulla effettiva utilità di un’opera faraonica, i timori per l’elevata sismicità della zona dello Stretto di Messina – punto di separazione tra i due bacini distinti dello Ionio e del Tirreno.

L’idea è ripartire dal progetto abbandonato nel 2012 che prevede un ponte sospeso tra due piloni – uno in Sicilia e uno in Calabria – alti quasi 400 metri che andrebbero a formare un unico arco lungo circa 3,3 chilometri. Le carreggiate del ponte avrebbero sei corsie (tre per senso di marcia) più due d’emergenza, e due binari per un traffico di 200 treni al giorno. Se realizzato, sarebbe un ponte a campata unica senza eguali al mondo.

Tuttavia, il primo ostacolo da superare è giuridico, punto su cui ha fatto chiaramente capire di voler vigilare addirittura il Quirinale. Tra gli approfondimenti tecnici di cui dovranno occuparsi i funzionari dei ministeri c’è la verifica dei contenziosi accumulati negli anni tra lo Stato e la società Stretto di Messina: il decreto dell’allora governo Monti, che nel 2012 pose fine per l’ultima volta al progetto, innescò una corsa alla richiesta di danni e risarcimenti per centinaia di milioni da parte delle società vincitrici del bando di gara (tuttora in corso).

Il decreto legge del governo che riavvia l’opera, inoltre, riporta indietro le lancette di 11 anni come se nulla fosse: ripristino dei vecchi accordi, rinuncia a ogni rivalsa e prosecuzione dei rapporti contrattuali di allora. E crea un problema sul piano del rispetto della concorrenza: all’epoca l’azienda vincitrice fu scelta attraverso una gara, e assegnargli automaticamente il progetto senza un nuovo bando potrebbe sollevare questioni. Punto su cui pronta a intervenire anche l’Unione Europea, con la possibilità che sia vietato usare fondi Pnrr e comunitari per l’opera.

Quanto alla spesa, nessuno sa con esattezza a quanto ammontano i costi di decenni di progettazioni, studi, e false partenze. Nel 2009 la Corte dei conti ha stimato che soltanto nel periodo 1982-2005 siano stati spesi quasi 130 milioni di euro, altre stime fissano il costo totale a una cifra tra i 300 e i 600 milioni di euro. Una stima del costo complessivo di realizzazione, non ufficialmente condivisa dal governo Meloni, è di circa 8-10 miliardi. Somme che fanno gola, in un periodo di riforma del codice degli appalti che semplificando e velocizzando le procedure aumenta anche il rischio di infiltrazioni mafiose.

Dal punto di vista tecnico il progetto del ponte a campata unica ha dato luogo a un lungo e controverso confronto scientifico tra esperti, inevitabile vista l’eccezionalità delle condizioni ambientali e delle prestazioni richieste a un’opera che dovrà superare ostacoli come fondali profondi, correnti marine, vento forte e un elevato rischio sismico. Non solo. C’è anche da considerare l’altezza dell’opera, che per decenni dovrà assicurare la circolazione nello Stretto di tutte le navi, presenti e future: l’altezza prevista dai progetti finora divulgati è di 65 metri, al limite per alcune navi da crociera.

Nonostante i pareri degli enti competenti alcuni ingegneri continuano a nutrire delle perplessità sulla soluzione a campata unica di 3,3 chilometri e permangono alcuni dubbi sulla fattibilità dei piloni da poggiare su fondali da 100 metri. Grazie a tecnologie costruttive adottate su ponti simili c’è invece una certa sicurezza sulla capacità del ponte allo studio di resistere ai forti venti a cui è sottoposto lo stretto, che dovrà risultare abbastanza flessibile da sostenere e “scaricare” le raffiche più potenti restando allo stesso tempo sufficientemente rigido per garantire il traffico automobilistico e ferroviario.

Il problema ambientale è invece più difficile da definire. L’infrastruttura ultimata, essendo grandiosa, modificherebbe l’ecosistema costiero e il paesaggio ma non avrebbe grosso impatto sul mare, che ne gioverebbe. I favorevoli infatti sottolineano che la presenza del ponte diminuirebbe drasticamente l’inquinamento marino prodotto dal continuo transito di traghetti.

Ma a preoccupare di più è il rischio sismico. L’attraversamento dello stretto di Messina si inserisce in una serie di faglie attive, in una zona del Mediterraneo soggetta a terremoti, anche di magnitudo superiore a sette. Ciò significa che il ponte dovrà essere concepito per resistere a scosse tra le più forti che possono avvenire in Italia.