Inchieste

Se fatturi ma non incassi lo Stato non transige

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di Alessandro Luongo

Un tunnel senza fine, o un gatto che si morde la coda. Potremmo prendere ad esempio tali metafore per raccontare il caso di un’azienda ligure nel mirino del fisco da 12 anni. La racconta il tributarista Luigi Pessina, vice presidente Colap con delega al fisco.

«Fra il 2008 e il 2009, un piccolo imprenditore apre una Sas per un’attività di consulenza in sistemi di gestione ISO 9000- ISO 9001- ISO 14001, e in breve tempo si ritrova con pagamenti ritardati dei suoi clienti per 20mila euro. Privo della liquidità necessaria, non riesce così a far fronte agli impegni fiscali e previdenziali. Nel 2011 inizia a ricevere solleciti di pagamento e poi cartelle esattoriali, chiede dunque il massimo della rateazione possibile, 120 mesi». A quel punto le varie scadenze mensili iniziano a rincorrersi ed erodono tutto l’utile: i guadagni sono impiegati per liquidare le vecchie rate mentre arrivano nuovi avvisi di pagamento e successive cartelle esattoriali, per un debito cumulativo nei confronti del fisco di 140mila euro.

«Mi vien da dire che se non vince alla lotteria, farà fatica ad uscire da questa situazione complicata – riprende Pessina – Se anche gli restassero in tasca 4.500 euro al mese, tolte le tasse gliene rimarrebbero 3mila e non sarebbero sufficienti per star dietro all’incalzare dei pagamenti arretrati. Il 30 novembre, infatti, è tenuto a pagare il secondo acconto di autotassazione di 22mila euro, fra previdenza e fisco, e non dispone di tale cifra, perché sta usando tutte le risorse economiche per chiudere i debiti dal 2010 in poi».

Il secondo caso si è addirittura concluso con la recente chiusura dell’impresa. Un professionista siciliano, a capo di uno studio storico con 25 anni di attività, dedito alla consulenza fiscale di piccole aziende e artigiani, non è riuscito a incassare 50mila euro di pagamenti dei suoi clienti malgrado i numerosi decreti ingiuntivi. I costi di gestione, del personale, elettricità, diventano insostenibili e si arrende. «Dato che l’imposizione fiscale e previdenziale pesa in Italia il 65% sul reddito, se anche gli rimanessero in tasca 4mila euro, 2.600 andrebbero al fisco e con 1.400 euro dovrebbe far fronte alle spese ordinarie e sopravvivere. Di fatto lo Stato non transige, perché lui ha fatturato, dunque ha prodotto, anche se in effetti non ha incassato».

E lo Stato vessatorio infligge le sue pene anche con la telematica tanto decantata. «E già, perché se funziona va tutto bene, se inizia a intopparsi, specialmente dopo il Covid, con molti funzionari in smart working, è quasi impossibile trovare un riferimento fisico; ti rimbalzano da una parte all’altra. Per un portale internet, ovviamente, la risposta è un sì o un no, non certo una sfumatura umana».