Inchieste

ESG non fa rima con PMI

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di Paola Stringa

Accrescere gli investimenti a supporto dell’innovazione tecnologica, sociale e di governance per accelerare la transizione ecologica e far sì che diventi un’opportunità per l’intero sistema produttivo. Sembra una ricetta facile ma non lo è. La quota di imprese che oggi fornisce precisi target quantitativi di sostenibilità è cresciuta dal 40% al 54% in Italia: lo rileva il secondo Rapporto Italia Sostenibile di Cerved. E lo conferma il Rapporto 2021 Welfare Index Pmi di Generali, che evidenzia, tra l’altro, la consapevolezza delle imprese circa l’importanza delle pratiche di welfare aziendale.

Queste tendenze positive sembrano però insufficienti a promuovere una piena trasformazione in linea con gli ambiziosi obiettivi che l’Unione Europea e l’Italia si sono date. Gli obblighi di rendicontazione riguardano ancora una quota molto ridotta di società e la creazione di un approccio analogo anche per le piccole e medie imprese diventa sempre più fondamentale per estendere l’attenzione della finanza sostenibile verso la gran parte del nostro sistema produttivo.

L’investimento che le Pmi dovranno sostenere per finanziare sin da ora il processo di transizione è di 135 miliardi entro il 2030, indebitandosi, ma facendo attenzione a non perdere solidità finanziaria. Una transizione ordinata come unica scelta possibile, secondo il Rapporto Pmi 2022 di Cerved, che individua, per contro, un rischio di default maggiore del 25%, per chi non adotterà provvedimenti per mitigare i rischi legati ai cambiamenti climatici e alla transizione green.

Le imprese impegnate nelle filiere sostenibili sono oggetto di crescente attenzione da parte dei grandi investitori, potenzialmente anche tramite la creazione di fondi ad hoc. E, in generale, le aziende che raggiungono le migliori performance Esg, sono anche le più solide dunque.

Ma chi sono le imprese Esg (Environmental, Social, Governance) oriented? Imprese che investono in progetti che rispettano l’ambiente, attente all’inclusione e al benessere dei lavoratori, che favoriscono le presenza di donne negli organi di amministrazione e avviano processi produttivi sempre meno energivori e con minore impatto.

«Oggi serve passare a una cultura oggettiva di misurazione della sostenibilità, cioè da un ambito aspirazionale, come quello degli obiettivi SDGs (Sustainable Development Goals, ndr) dell’Onu, a un approccio scientifico, con indicatori chiari di performance. Sempre più l’erogazione del credito sarà collegata a precisi indicatori di sostenibilità e anche le Pmi devono porsi il problema, lo chiedono sia i finanziatori che le grandi imprese delle cui catene di valore le Pmi fanno parte» spiega Fabrizio Negri, AD di Cerved Rating Agency, che ha sviluppato un approccio proprietario nelle valutazioni Esg volto a identificare quali fattori possono tradursi effettivamente in rischi e opportunità per le imprese e quale rilevanza possono avere per settore in ottica di impatto sulle variabili economico-finanziarie.

Rispetto alla variabile ambientale, emergono rischi legati alla gestione dei materiali e rifiuti pericolosi, alle emissioni di CO2 e all’inquinamento, significativi nel settore chimico, delle costruzioni, dell’estrazione dei minerali, della produzione metallurgica. Rispetto alla componente sociale, si registra un’alta esposizione a rischi inerenti le condizioni lavorative e il rispetto dei diritti umani in particolare per il settore logistico e di shipping e del retail. La variabile governance si mostra particolarmente impattata nei settori più influenzati dal rispetto di regolamenti, licenze e permessi nonché dall’esposizione a normative emergenti come la tassonomia.

L’ Efrag (European financial reporting advisory group) ha portato all’attenzione la necessità di adottare un approccio proporzionato per il reporting Esg delle Pmi, in modo che sia in grado di bilanciare le peculiarità legate alla governance e alle risorse e definire le informazioni più rilevanti da condividere con gli stakeholder. «Anche Cerved ha chiesto un reporting che preveda un set di informazioni ridotto per le Pmi, pur mantenendo il rigore a cui devono attenersi tutte le altre imprese» specifica Fabrizio Negri.

Per Arianna Lovera, senior partner Forum per la Finanza sostenibile «le grandi aziende tendono a peccare più di ‘greenwashing’, mentre le Pmi più di ‘greenblushing’, ossia non valorizzare affatto quelle iniziative o quelle scelte che vanno nella direzione giusta, dal punto di vista di una maggiore sostenibilità, anche per inconsapevolezza».

Assolombarda, nella sua attività di lobbying, spinge sulla leva degli approcci diversificati per non ostacolare le Pmi con mancanza di expertise sul reporting Esg. «Se la correlazione tra l’inclusione dei modelli di sostenibilità e le performance di business è ormai un dato di fatto, dobbiamo però fare attenzione a come le normative di adeguamento impattano sulle imprese e sulle filiere tenendo conto delle dimensioni e delle situazioni.

Bene dunque la direzione – puntualizza Alessandro Bielli, funzionario responsabile dell’area Credito e Finanza di Assolombarda – ma differenziando livelli, tempi e supporto. Ogni azienda deve trovare la sua strada, non possiamo dare alla Pmi la responsabilità di controllare l’intera catena di valore. È un equilibrio difficile che va calibrato e personalizzato. La vera sfida per le Pmi sarà nella governance, sulla parte ambientale e sociale l’Italia è avanti – conferma – perché il rapporto con i territori è nel Dna dell’impresa locale nel nostro Paese, fa parte del fare business».

Per il monitoraggio della filiera di approvvigionamento sotto il profilo Esg, il 60% delle imprese ricorre a strumenti di screening meno approfonditi ovvero documentali, come la sottoposizione a un questionario, e non a ispezioni o audit sul campo presso i fornitori. Eppure monitorare il più possibile le catene di valore sarà sempre più importante.

Da Assolombarda agli advisor specializzati, oggi ci sono diversi player a sostegno delle imprese che vogliono integrare gli obiettivi Esg nella strategia aziendale. Assolombarda si occupa della transizione sostenibile per i suoi associati attraverso diverse azioni.

«Nell’ultimo anno il tema della sostenibilità è diventato centrale ed è stato presentato un position paper sulla finanza sostenibile che traduce l’approccio binario di Assolombarda: l’azione di lobbying e quella di supporto e formazione» racconta Bielli.

Oltre agli incontri e ai seminari, l’associazione mette a disposizione delle sue imprese due strumenti digitali per aiutarle nella transizione. «Le accompagniamo nell’individuazione delle performance di sostenibilità e nella creazione di un vero e proprio bilancio non finanziario. Abbiamo una piattaforma proprietaria, Bancopass, che permette di fare il confronto delle performance economiche, il calcolo del valore d’impresa, il business plan, le pratiche di finanziamento. Dal 4 ottobre abbiamo inserito i parametri internazionali di sostenibilità, per proporre all’azienda simulazioni pratiche. Uno schema libero e non imbrigliante per farle familiarizzare con questi concetti e renderle capaci di dialogare con gli stakeholder e i finanziatori. Bancopass è un network con 54 Confindustrie e 3.400 aziende. Inoltre – continua Bielli – recentemente abbiamo fatto un accordo con Eni per proporre anche una piattaforma per misurare le performance di sostenibilità uniformando le prassi, Open Es».

AFuture, braintrust con una rete imprenditoriale e istituzionale globale, ha aperto uno spazio di confronto pragmatico con le aziende italiane per costruire percorsi di trasformazione. «L’aumento di regolamentazioni in termini di disclosure ha spalancato una finestra di opportunità per la gestione strategica delle tematiche legate alla diversity, equity e inclusion. In partnership con Lundquist, offriamo alle imprese la possibilità di correlare le varie prospettive e allineare le singole iniziative per sostenere lo sviluppo di un approccio proattivo, olistico e a lungo termine rispetto alle tematiche Esg – sottolinea Amelie Reuterskiöld Franchin, fondatrice di AFuture –  Abbiamo testato 50 imprese, l’approccio alla sostenibilità ambientale in Italia è più naturale che altrove. La dimensione sociale è invece meno facile da misurare e le aziende devono ancora capire che non si tratta di fare charity policy ma di sviluppare il potenziale nascosto nell’inclusione di tutti gli stakeholder, per generare valore».

Sempre più aziende vogliono testare il polso della propria sostenibilità e lo fanno attraverso piattaforme di business rating come Ecovadis, le cui valutazioni si basano sui documenti forniti dalle imprese che vengono confrontati con i parametri della metodologia internazionale come il Global Reporting Index, Iso 26000 e i Principi Global Compact.

«Selezioniamo sempre di più i nostri fornitori con il metodo Esg da quando collaboriamo con Ecovadis e siamo arrivati a diventare un’impresa ‘oro’ nella loro classifica – spiega ad esempio Isabella Bussi, head of Sustainability del gruppo Fedrigoni operatore globale di riferimento nella produzione di carte di pregio per il packaging di lusso e di etichette premium e materiali autoadesivi – L’impegno sulla sostenibilità permea l’intera strategia industriale di Fedrigoni. Stiamo cercando di applicare gli obiettivi Esg nel modo più rigoroso possibile e sono convinta che questo, nel lungo periodo, ci renderà più competitivi.

Abbiamo portato avanti interventi industriali importanti, inserendo impianti di trattamento biologico secondario in tutte le nostre cartiere e interventi di efficientamento energetico in un settore così energivoro e puntiamo a ridurre ancora i consumi di metano”.