Inchieste

Il cantiere sempre aperto della spesa previdenziale

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di Giuliano Cazzola

Il sistema pensionistico è un cantiere sempre aperto. Succede, però, che i lavori consistono spesso nel deviare, ritardare o demolire le opere compiute in precedenza.

È avvenuto a scapito dell’ultima riforma organica del 2011, realizzata dal Governo Monti e attribuita al ministro Elsa Fornero che fin dalla sua entrata in vigore è stata oggetto di una campagna di critiche che hanno attecchito nell’opinione pubblica, come se quella disciplina avesse precluso il pensionamento fino  al raggiungimento di età avanzate; una leggenda metropolitana che non ha mai voluto tener conto di dati di fatto che smentivano le campagne propagandistiche, come risulta da un caratteristica ‘’deviata’’ e inconfutabile del sistema: l’Italia è il Paese dell’anticipo, nel senso che le pensioni  anticipate/anzianità  sono in numero molto più elevato di quelle di vecchiaia. E le generazioni del baby boom – beneficiari dell’anticipo – sono in grado, per come è stata la loro storia lavorativa, di arrivare all’agognato traguardo intorno a 61-62 anni se non prima.

La Ragioniera Generale dello Stato (RGS)  redige un Rapporto sulle tendenze della spesa pensionistica e sanitaria. Quello dell’anno in corso è stato pubblicato a giugno ed ha tenuto conto della legislazione vigente a quella data che, poi, è quella risalente alla legge di bilancio 2022 che sarà modificata dalla nuova legge pervenuta nei giorni scorsi  alla discussione del Parlamento.

Le turbative, i colpi di mano, le sortite a cui è stata sottoposta la disciplina introdotta dalla riforma Fornero (praticamente in questi anni è stata soggetta a modifiche e deroghe, senza mai essere ‘’superata’’ del tutto con grande disdoro dei suoi acerrimi nemici) hanno lasciato il segno, puntualmente registrato dalla RGS.

A partire dal 2019 e fino al 2022, il rapporto tra spesa pensionistica e Pil torna ad aumentare con un picco, pari al 17,0% del Pil nel 2020 per poi ripiegare su un livello pari al 15,7% nel 2022, valore che è oltre 0,5 punti percentuali di Pil superiore al dato del 2018. La spesa in rapporto al Prodotto interno lordo cresce significativamente a causa della forte contrazione dei livelli di Pil dovuti all’impatto dell’emergenza sanitaria che ha colpito l’Italia a partire da febbraio 2020.

Tale andamento è condizionato, inoltre, dall’esplicarsi delle misure in ambito previdenziale contenute nel D.L. 4/2019 convertite con L 26/2019 secondo le quali, in via sperimentale, per coloro che maturano i requisiti nel periodo 2019-2021, era  possibile lasciare il lavoro e pensionarsi in presenza di un’anzianità contributiva di almeno 38 anni e di un’età anagrafica non inferiore a 62 anni (Quota 100) unitamente alla riduzione dei requisiti di  accesso al pensionamento anticipato indipendentemente dall’età anagrafica per il mancato adeguamento nel 2019 di tali requisiti all’incremento della speranza di vita.

In sostanza ‘’bloccati’’ fino a tutto il 2026 a 42 anni e 10 mesi per gli uomini, un anno in meno per le donne. In misura decisamente inferiore, la spesa aumenta anche a causa degli effetti previsti dalla norma contenuta nella Legge di Bilancio 2022 che ha consentito, solo per chi matura i requisiti nel corso di quest’anno, di accedere al pensionamento con una età minima di 62 anni ed una anzianità contributiva minima di 38 anni (Quota 102).

In conseguenza di tali misure, si assiste negli anni 2019-2022 a una più rapida uscita dal mercato del lavoro e all’aumento del numero di pensioni in rapporto al numero di occupati.

Rebus sic stantibus, nel 2023, la spesa per pensioni crescerebbe significativamente portandosi al 16,2% del Pil. Le previsioni scontano, poi, gli effetti della significativa maggiore indicizzazione delle prestazioni imputabili al notevole incremento, rispetto a quanto precedentemente stimato dalla Nadef 2021, del tasso di inflazione registrato nella parte finale del 2021 e previsto per l’anno 2022, stimato dal ministro Giancarlo  Giorgetti  per una maggiore spesa di circa 50 miliardi in un triennio.

Per quanto riguarda le previsioni negli anni successivi, la RGS non poteva che tenere conto della legislazione vigente e quindi del venire a scadenza delle misure di transizione (le quote) alla fine di quest’anno e di deroga (il blocco dell’adeguamento automatico all’attesa di vita) alla fine del 2026. Sulla base di questi presupposti, il Rapporto certifica che l’incidenza della spesa sul Pil  avrebbe teso  a stabilizzarsi fino al 2030, anche in presenza di ipotesi di crescita del Prodotto interno meno favorevoli, grazie all’ipotizzato parziale recupero dei livelli occupazionali precedenti sia all’adozione del provvedimento che ha introdotto Quota 100 sia allo scoppio della crisi sanitaria.

Di seguito, il rapporto spesa/Pil sarebbe aumentato velocemente fino a raggiungere il picco relativo del 16,8% nel 2044. Nella parte centrale del periodo di previsione, si  sarebbe assistito all’incremento del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati indotto dalla transizione demografica, il quale  sarebbe stato  solo in parte compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento, recante  un effetto di contenimento degli importi pensionistici  superiore a  quello esercitato dalla graduale applicazione del sistema di calcolo contributivo sull’intera vita lavorativa.

A questo punto, però, la penna cade dalle dita e si mette in attesa. Il nuovo governo ha introdotto per il 2023 un altro periodo di transizione (quota 103: 62 anni di età + 41 di anzianità contributiva)  finanziato  da una manipolazione della perequazione automatica ed ha promesso una riforma organica che – dopo il negoziato con le parti sociali – dovrebbe entrare in vigore nel 2024.