La Settimana Internazionale

Cina-Russia, un asse imperfetto

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di Attilio Geroni

Non sarà mai una partnership, anzi, nei fatti non lo è più da quando è iniziata l’aggressione russa in Ucraina. Al di là delle dichiarazioni roboanti al termine dei colloqui a Mosca tra Xi Jinping e Vladimir Putin, le relazioni tra i due Paesi che desiderano promuovere un mondo multipolare a loro immagine e somiglianza sono e saranno sempre più sbilanciate a favore di Pechino.

La Russia è quel junior partner ricchissimo di materie prime che le fornirà a prezzi convenienti gas, petrolio e altro per rinforzare l’ascesa economica cinese. In cambio la Cina terrà aperte le vistose brecce che spezzano il muro dell’isolamento occidentale vendendo al Cremlino beni intermedi come macchinari, macchinari elettrici, microchip, infrastrutture 5G direttamente o attraverso triangolazioni con la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti. Il renmimbi sta diventando rapidamente la valuta internazionale di riferimento per Mosca e l’interscambio tra i due Paesi l’anno scorso ha toccato un livello record di 190 miliardi di dollari.

Inutile girarci troppo intorno, la guerra in Ucraina si sta finanziando grazie alla stampella economica fornita da Pechino a Mosca: una risposta più o meno diretta agli aiuti – umanitari, finanziari e militari – che l’Occidente sta fornendo a Kiev. La Cina non si fa il minimo scrupolo, anzi, a interloquire con un leader politico che il mandato d’arresto della Corte penale internazionale ha reso una sorta di paria. L’isolamento di Putin gli è anzi funzionale per accrescere la dipendenza di Mosca.

Tutto ciò significa che l’Occidente – Europa e Stati Uniti – hanno spinto la Russia nelle braccia di una Cina sempre più assertiva e determinata non solo a tutelare i propri interessi strategici ed economici, ma a imporre un nuovo modello di governance globale? Non necessariamente. L’atteggiamento di Pechino è al momento un misto di opportunismo e desiderio di porsi come demiurgo di un nuovo ordine mondiale, come dimostrano la sua road map in dodici punti per arrestare il conflitto in Ucraina e il ruolo chiave giocato nel ripristino delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita.

È un gioco degli specchi nel quale ama apparire come una forza equilibratrice, aperta al dialogo, rispetto al mandato “a senso unico” che secondo la Cina sembra animare l’azione coordinata di Europa e Stati Uniti al fianco di Kiev.

In realtà il “position paper” sul conflitto in Ucraina è più un’enunciazione metodologica di risoluzione dei conflitti, sul rispetto delle sovranità territoriali (riferimento neanche tanto velato a Taiwan) e contro l’espansionismo di alcune alleanze militari (riferimento esplicito all’allargamento Nato a Est) che un piano di pace vero e proprio: l’ultima delle preoccupazioni di Pechino in quei dodici punti sembra infatti l’assetto territoriale dell’Ucraina.

Ciononostante, trattandosi di un contributo della Cina, è difficile tanto ignorarlo quanto soppesarlo per quello che realmente è. Intanto va avanti e si rinsalda a tutto vantaggio della Cina il rapporto di convenienza con la Russia.

L’aspetto preoccupante è che questa rapporto si è rinsaldato grazie all’aggressione di Mosca nei confronti dell’Ucraina e in questo senso la conclamata neutralità di Pechino è davvero una strana neutralità. Resta da chiedersi fino a quando la guerra servirà gli interessi della Cina, parimenti interessata alla ricadute economiche di una futura ricostruzione dell’Ucraina e a una ritrovata stabilità internazionale, lungo le linee di politica estera che sta abilmente tracciando. Il punto di equilibrio tra queste due tendenze è precario ed è forse per questo, si spera, che la Cina non vorrà comprometterlo fornendo anche aiuti militari alla Russia di Putin.