La Settimana Internazionale

Diplomazia: Europa a rischio

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di Sam Mouazin

Provare a usare lo strumento della diplomazia non significa abbandonare l’Ucraina, ma riaffermare i principi con cui l’Europa ha cercato di ricostruirsi nella Pace dopo la devastazione della Guerra Mondiale.

Claudio Pacifico, ambasciatore d’Italia intervistato dal Settimanale non ha dubbi in proposito. L’occasione dell’incontro è la pubblicazione del suo nuovo libro Particolari sul senso del presente, edito da ScriptaManent. Proprio quel passato presente, vissuto tra guerre e rivoluzioni, ha radicato nel diplomatico italiano una convinzione tolstojana che la guerra sia un «male assoluto», perché fa emergere i peggiori istinti dell’uomo, travolgendo i Paesi e i popoli su cui si abbatte. Ovunque sia andato, Pacifico ha testimoniato le sue esperienze usando la scrittura. Ha attraversato il Sahara e vissuto con i suoi abitanti. Ha sostenuto e sostiene tutt’ora diversi progetti di sviluppo nel mondo. Questo ha affinato in lui un istinto naturale per quello che definisce «la diplomazia del buon senso».

Il conflitto russo ucraino è, dunque, una miccia che si sta consumando velocemente.

Stiamo andando verso la distruzione, o meglio l’autodistruzione dell’Europa. Certo, la decisione russa di attaccare militarmente un Paese nel cuore del Vecchio Continente appare inaccettabile e intollerabile, ma non è mai accaduto che la diplomazia significasse darla vinta a una parte piuttosto che all’altra, ha piuttosto cercato di far prevalere la ragione, trovando un compromesso accettabile per una parte e per l’altra. Purtroppo non sempre c’è riuscita, come ad esempio dimostrano proprio gli Accordi di Minsk del 2014.

Parecchi media occidentali presentano questa guerra come il conflitto di una democrazia invasa da un’autocrazia molto più forte. A me sembra che questa sia solo una parte della storia. Se vogliamo avere un quadro obiettivo degli avvenimenti non possiamo partire dal 24 febbraio dello scorso anno; la crisi del Donbass ha radici storiche profonde e complesse. Ed è l’ennesima drammatica vicenda, così tipica, purtroppo, nella vita dell’Europa, di minoranze, secondo l’altalena della Storia, a volte tragiche vittime, altre spietati carnefici. Per certi versi può ricordare la sanguinosa guerra della ex-Jugoslavia scoppiata solo trent’anni fa. È in tale contesto che l’Europa e gli Usa, dopo aver fatto poco o niente per disinnescare il conflitto prima che scoppiasse, ora continuino ad alimentarlo in un’escalation insensata con l’invio di armamenti. Quali sono le alternative credibili? Continuare ad alimentare la guerra, la carneficina e la distruzione, sperando che si arrivi alla distruzione della Russia? Come può una persona di buon senso pensare che la guerra sia l’unica risposta possibile alla guerra?

Lei è un profondo conoscitore di Medio Oriente e Mondo Arabo. Che eredità hanno lasciato le Primavere Arabe?

Ho sempre avuto difficoltà a credere che le Primavere Arabe, ispirate inizialmente da giovani studenti universitari ma poi cadute nelle mani degli estremisti e terroristi islamisti, potessero portare passi in avanti verso la democrazia. In realtà, hanno spinto i Paesi della Riva Sud del Mediterraneo, fondamentali e storici partner dell’Italia, verso una nuova e profonda crisi politica che ha messo a repentaglio l’intera regione, coinvolgendo anche Paesi più solidi come Egitto e Siria, che per noi italiani sono, con Libia, Algeria, Tunisia, Territori Palestinesi, Israele, Libano e Yemen importantissimi per gli equilibri geopolitici, strategici e per gli interessi commerciali.

Le furono concessi due Encomi Solenni per le operazioni di evacuazione che aveva svolto durante la rivoluzione iraniana. Allora aveva 29 anni. Cosa pensa della ribellione in atto in quel Paese?

Le manifestazioni contro il regime teocratico hanno alcuni tratti (ma solo alcuni) comuni con la rivoluzione khomeinista del 1978-79. Anche allora la scintilla della ribellione era stata attizzata da giovani studenti e studentesse, i “nonni” delle attuali generazioni. Solo che i “nonni”, laici e occidentalizzati, si ribellavano contro lo Shah, che pure cercava di portare il Paese verso la modernità, per la mancanza di libertà democratiche, per il suo asservimento alle politiche di Washington, per la crescente corruzione e per la spietata polizia segreta, la Savak, che reprimeva brutalmente le libertà. I “nonni” erano riusciti a far cadere il regime dello Shah, ma avevano spalancato la porta all’Ayatollah Khomeini e alla teocrazia, ispirata dal senso del martirio, così tipico della religione Sciita e da una profonda avversione per il materialismo dell’Occidente. Oggi, in un mutato ciclo storico, i “nipoti” di quegli studenti insorgono contro la teocrazia proprio per ritornare ai valori e libertà occidentali e all’irresistibile attrazione del modello globalizzato. Rimane però da vedere se la ribellione si tradurrà in rivoluzione. L’Iran profondo, infatti, la gente semplice che vive – tra valli e montagne – di pastorizia e agricoltura, facendo ancora a mano sui telai di legno gli splendidi famosi tappeti, tradizionalmente conservatrice, segue ancora i Mullah e la rete delle moschee.

Ci può parlare dei disegni di Regime Change?

Sono il frutto delle lotte tradizionali interarabe che vedono non solo Sciiti contro Sunniti ma monarchie conservatrici della penisola arabica contro le repubbliche laiche socialiste della Riva Sud del Mediterraneo, e anche delle ambizioni di protagonismo dei piccoli, ma ricchissimi, Paesi del Golfo. Uno di loro, oggi, anche a causa degli scandali collegati al recente campionato del mondo di calcio che hanno scosso Bruxelles, è di particolare attualità: il Qatar. L’Emirato ha avuto un ruolo di primo piano nella destabilizzazione delle nazioni più grandi: Egitto, Libia, Siria, Libano. E confesso che prima non riuscivo bene a capire perché fosse considerato un alleato e un riferimento importante dell’Occidente e dell’Unione europea. Ora, alla luce dei fatti che sta svelando il Qatargate… lo capisco meglio.

Come vede la drammatica uccisione del giovane Giulio Regeni? Esistono dietrologie speculative?

Credo che il presidente Al-Sisi rimanga, al pari dell’ex-presidente Mubarak, un grande amico dell’Italia e che, come promesso recentemente al ministro Tajani durante la sua visita ufficiale a Il Cairo, cercherà di adoperarsi per una definitiva verità processuale, nei limiti evidentemente dell’autonomia della magistratura (che, anche in Egitto, ha grandi tradizioni di indipendenza dal governo e dal potere esecutivo).

Certo, senza entrare in dietrologie speculative, bisogna comunque ricordare che, all’epoca del tragico fatto, l’Egitto viveva ancora in un clima confuso e violento in cui molti ambienti della sicurezza, della polizia, delle forze armate egiziane erano al centro di un complotto di forze esterne e interne (gli estremisti e i terroristi islamisti), mirato a distruggere il loro Paese e il suo posizionamento moderato e filo-occidentale.

E, da questo punto di vista, tra le tante questioni non chiare, almeno per un comune lettore di giornali come me, mi sembra che ci sia anche quella di capire sino in fondo il ruolo in tutta questa vicenda della professoressa di origini egiziane, simpatizzante secondo taluni dei Fratelli Musulmani, che a Cambridge aveva assegnato al povero Giulio la tesi di dottorato di ricerca, che lo aveva in qualche modo, inconsapevolmente, coinvolto nelle manovre di destabilizzazione del Paese.

Una lunga carriera diplomatica tra crisi e incontri con i big del mondo

È ai primi posti delle classifiche Amazon e ha ottenuto numerose recensioni positive Particolari sul senso del presente, l’ultimo libro di Claudio Pacifico, 75 anni, una lunga e importante storia diplomatica alle spalle. Tra le tante onorificenze ottenute, c’è anche il titolo di Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica, il più alto riconoscimento dello stato italiano, consegnato nel 2012 dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per “gli eccezionali servizi resi alla Patria”.

Quegli eccezionali servizi sono racchiusi in queste 392 pagine: anni trascorsi in prima fila tra le capitali cruciali nel mondo, dagli Stati Uniti al Nord Africa, dal Medio Oriente, all’Iran, all’Asia. Ha vissuto da vicino guerre civili, rivoluzioni, sovvertimenti non ancora conclusi che continuano a mettere a repentaglio la stabilità e la geopolitica dell’intero pianeta.

Dalla sua prima esperienza diplomatica a Teheran durante la rivoluzione del 1978-1979, ai cataclismi provocati dal 2011 a oggi dalle Primavere Arabe, il libro è un avventuroso e curioso racconto di storia contemporanea. L’ambasciatore lo fa testimoniando la grandezza di uomini politici come i presidenti americani Carter, Reagan, Clinton, Obama, incontrati durante la sua lunga carriera; gli stretti rapporti con i capi di governo italiani con cui ha lavorato, Andreotti, Craxi, Spadolini, Dini, Prodi, D’Alema, Berlusconi, Monti, e dei presidenti della Repubblica Pertini, Scalfaro, Cossiga, Ciampi, Napolitano; ma anche riportando incontri con i più famosi capi di Stato esteri che ha incontrato nel corso delle missioni diplomatiche da Yasser Arafat ad al Sisi a Gheddafi e Khomeini. Leader, certe volte temibili e controversi, nemici dell’Occidente e dei suoi valori, ma anche uomini straordinari che, come nel celebre libro di Gurdjieff, Meetings with Remarkable Men, hanno arricchito la sua visione e comprensione del mondo. Particolari sul senso del presente è da considerarsi anche punto di riferimento antropologico: oltre ai racconti inediti, alcuni capitoli riportano una ricca antologia che esplora storie sulle antichità e i deserti del Sahara, in Sudan, Libia ed Egitto; entra nel merito dell’organizzazione clanica e sociale dei Tuareg, le confederazioni, i clan e le tribù.