La Settimana Internazionale

Documenti segreti, perché lo scandalo di Biden è più grave

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di Eleonora Tomassi

All’alba della seconda metà del suo mandato, gli scheletri nell’armadio sono sempre più ingombranti per il presidente americano, Joe Biden. E a scoprirli non sono più solo i nemici repubblicani.

Che sia proprio il Partito Democratico ad aver deciso che il tempo di Biden è finito, ed è ora di cambiare? La temuta onda lunga repubblicana alle elezioni di midterm lo scorso novembre non c’è stata, anche grazie agli scandali nascosti con successo. Ma non è da escludere tra i Dem la tentazione di  abbandonare l’inquilino della Casa Bianca al suo destino e prepararsi al voto presidenziale del 2024 con un nuovo candidato. Magari l’attuale governatore della California, Gavin Newsom, tanto amato dall’establishment democratico?

Quali sono gli scheletri di Biden? Tiene banco in questi giorni la vicenda dei documenti segreti trovati durante un trasloco dai suoi stessi avvocati negli uffici e nelle residenze del presidente (un reato costituzionale). Secondo il Washington Post, «all’inizio gli avvocati di Biden e gli investigatori del Dipartimento di Giustizia avevano un’intesa nel mantenere il silenzio sulla questione». La Casa Bianca avrebbe cercato quindi di evitare che ciò influenzasse il voto di midterm che ci sarebbe stato sei giorni dopo.

«La Casa Bianca sperava in un’indagine rapida che non rilevasse alcuna prova di manipolazione intenzionale dei documenti, pianificando così di divulgare la questione solo dopo che la giustizia avesse dato il via libera. Gli investigatori federali, da parte loro, di solito cercano di evitare di complicare qualsiasi indagine con frenesie mediatiche», riporta il quotidiano della capitale.

Dopo la scoperta del primo gruppo di documenti nell’ufficio di Biden al UPenn Center di Washington, il 2 novembre – si tratta di briefing e memo dell’intelligence Usa relativi a vicende di Ucraina, Iran e Regno Unito, datati tra il 2013 e il 2016 – «un alto funzionario della divisione di sicurezza nazionale del Dipartimento di Giustizia ha scritto a Bob Bauer, avvocato personale di Biden, chiedendone la collaborazione con l’indagine del suo ufficio». E ha inoltre sollecitato i legali del presidente ad astenersi dall’esaminare i documenti trovati, in attesa che li vedesse lo stesso Dipartimento.

La Casa Bianca ha quindi adottato una «strategia di cautela e distrazione» che prevedeva il silenzio sui documenti per meglio «muoversi in coordinamento con gli investigatori federali». «CBS News è stata la prima organizzazione giornalistica – ha riferito ancora il Post – a venire a conoscenza della questione, contattando la Casa Bianca il 6 gennaio per chiedere informazioni sui documenti rinvenuti». I funzionari della Casa Bianca hanno confermato lo scoop, «ma poiché l’indagine era ancora in corso, hanno detto di non poter fornire ulteriori dettagli, compreso quello di essere a conoscenza di un secondo lotto di documenti esistente, trovato nello scantinato della casa di Biden a Wilmington (la sua residenza ufficiale, nel Delaware, ndr)».

Una volta reso pubblico lo scandalo, Biden il giorno dopo ha dichiarato ai giornalisti di essere «sorpreso» di apprendere tale notizia, senza fare «alcun riferimento a quelli presenti nella sua casa di Wilmington». Atteggiamento quantomeno sorprendente, visto che lui stesso in pubblico aveva definito Trump «un irresponsabile» all’indomani dell’irruzione dell’FBI nella sua tenuta a Mar-a-Lago (nell’agosto 2021). Oltretutto il presidente Usa sa di aver commesso non solo lo stesso reato di possesso di documenti riservati, ma in misura perfino aggravata.

È necessario specificare infatti che i documenti trovati nell’ufficio di Biden risalgono al periodo in cui lui era vicepresidente (di Obama). Secondo la Costituzione Usa, solo il presidente ha l’autorità unilaterale di declassificare qualsiasi documento voglia (come infatti fece Trump). Al contrario, un vicepresidente non ha più potere esecutivo di un qualsiasi funzionario dell’amministrazione, e non può quindi declassificare alcun documento.

Una distinzione sostanziale che chiarisce la misura dei due scandali, ben diversi, ma che per l’ennesima volta sembra sfuggire ai mass media internazionali. Il reato di Trump è quello, da verificare, di divulgazione di tali documenti e cattiva tutela (pur se conservati in luogo privato e altamente protetto). Biden, invece, non solo in veste di vicepresidente non poteva avere il nulla osta di sicurezza necessario per ottenere informazioni classificate, ma sembra anche che una volta ottenute non si sia preoccupato della loro gestione, visti gli smarrimenti in luoghi diversi e per lo più incustoditi.

L’addetta stampa della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, ha dichiarato durante una conferenza stampa il 12 gennaio: «C’è stata trasparenza nel fare ciò che si deve fare quando certe cose vengono scoperte». Il giornalista della CBS News Ed O’Keefe ha obiettato: «Ci sarà stato un limite alla trasparenza di ciò che può essere e non può essere condiviso da questa Casa Bianca».

Nel frattempo Robert Hur è stato nominato consulente speciale dal procuratore generale degli Stati Uniti per esaminare la vicenda. Come finirà? Biden sarà indagato? Come gestiranno la teoria dei “due pesi e due misure” tra i due acerrimi nemici? Ma soprattutto: perché la fuga di notizie è avvenuta solo ora? Goccia a goccia, come uno schema già visto…