La Settimana Internazionale

GB tra bugie sovraniste e autocoscienza dell’azzardo Brexit

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di Attilio Geroni

Le scuse sono arrivate in ritardo e rappresentano un’umiliazione senza precedenti per un primo ministro del Regno Unito. Liz Truss (neo dimissionaria, ndr), come ha titolato in prima pagina il tabloid Sun, è “un fantasma” rimasto in silenzio mentre il suo (nuovo) cancelliere dello Scacchiere Jeremy Hunt stracciava letteralmente l’ormai famigerato mini-budget del 23 settembre cancellando i tagli alle tasse.

Tutto avviene con una rapidità sconcertante a Downing Street. L’insediamento del nuovo governo dopo gli anni in ottovolante con Boris Johnson, il febbrile entusiasmo post-thatcheriano e la voglia di un nuovo big bang che porti l’economia a crescere come mai negli ultimi anni e un provvedimento sconsiderato (tagli alle tasse senza copertura) che i mercati hanno bruciato in poche ore.

La Brexit e i suoi effetti

Viene da pensare subito ai postumi di Brexit, una sbornia di autocompiacimento, supponenza e onda lunga di bugie sovraniste che ancora affligge la classe dirigente politica inglese. E c’è chi obietta che questa lettura sia troppo semplicistica e che le difficoltà in cui ha versato e versa Londra – dalla pandemia, al caro energia, alla conseguente impennata dell’inflazione – sono problemi  universali o quantomeno ampiamente condivisi su scala europea. Vero, in parte. Perché Brexit, nonostante sia stata in qualche modo compiuta – malamente – resta un’attitudine nefasta del pensiero politico dei conservatori al Governo.

Una modalità fatta di autocompiacimento che ha portato al potere l’inconsistenza di Theresa May dopo la scommessa suicida del referendum di David Cameron, l’improvvisazione di Boris Johnson e l’incompetenza di Liz Truss, costretta a rimangiarsi una promessa di tagli alle tasse per i più ricchi e a silurare quasi immediatamente l’artefice di quel progetto, Kwasi Kwarteng.

Incompetenza perché quel piano finanziato da nuovo debito ha causato una crisi finanziaria senza precedenti sui mercati, un vero e proprio tracollo che ha coinvolto la sterlina, ma soprattutto i titoli di Stato (gilts), con conseguenze potenzialmente devastanti per i fondi pensione, che investono sì in buoni del Tesoro, ma anche in derivati per garantire un saldo positivo tra asset, attivi, e passività, queste ultime intese come fabbisogno previdenziale dei sottoscrittori.

Possibile che al Tesoro di Sua Maestà non avessero contemplato il rischio di un circolo vizioso tra il drammatico deprezzamento degli asset sottostanti e un’ondata di margin call da parte degli operatori che richiedevano ai fondi pensione di accrescere la liquidità a sostegno delle loro posizioni aperte sui mercati?

Possibile che non avessero capito che una simile dinamica avrebbe portato i fondi, a caccia di liquidità, ad alleggerire le posizioni proprio in titoli di Stato contribuendo a loro volta a deprimere ulteriormente i prezzi e a far salire i rendimenti?

Solo l’intervento della Banca d’Inghilterra, che si è messa ad acquistare gilts ha evitato il disastro di alcuni fondi pensione e tamponato l’effetto di scelte improvvisate.

Il futuro incerto del governo e della Brexit

Quello di Liz Truss è stato un governo senza credibilità (secondo un sondaggio di YouGov, la maggioranza dei membri Tory la voleva rimuovere dal ruolo di primo ministro).

Allo stesso tempo, ormai da alcune settimane, si consolida nei sondaggi una maggioranza favorevole a un ritorno del Regno Unito nell’Unione europea, mentre si è ridotta quasi completamente la forbice tra quanti, con il senno di poi, ritengono che Brexit sia stato un errore e quanti la ritengono ancora giusta.

Molti stanno paragonando il Regno Unito alla crisi politica cronica che affligge l’Italia. Resta un paragone forzato, anche se l’accelerazione del turnover di premier e ministri del Tesoro britannici ha preso una piega inquietante dal 2016 a oggi, ma è un promemoria sulla necessità di non scherzare con gli equilibri delle finanze pubbliche e non dare troppo credito alle promesse di un futuro migliore al di fuori della Ue.

Quanto all’opinione pubblica inglese, comincia a prendere le distanze dalla politica roboante e a capire che l’uscita dalla Ue non è stato questo grande affare. Da lì a voler/poter rientrare ce ne corre, soprattutto se prima non tornerà alla guida del Paese una classe dirigente all’altezza e non compromessa con le menzogne della Brexit.