La Settimana Internazionale

Il contrasto di Pechino e Mosca all’Occidente passa anche dall’Africa

Scritto il

di Federico Bosco

Cina e Russia stanno rafforzando la loro presenza in Africa con l’obiettivo di controllare le risorse naturali e la politica di nazioni storicamente povere, ancora oggi rette per lo più da governi con istituzioni fragili e leader privi di una visione strategica.

A farla da padrone è Pechino, che da anni aumenta la sua influenza nel continente attraverso la “trappola del debito”, che consiste nel soccorrere Paesi in difficoltà con prestiti e investimenti in progetti infrastrutturali faraonici – spesso dalla dubbia utilità – che si trasformano nello strumento per estorcere allo Stato mutuatario concessioni economiche e politiche. «In Africa un grande progetto infrastrutturale su tre è realizzato da imprese statali cinesi, uno su cinque è finanziato da una banca cinese», scrive in un rapporto Paul Nantulya, analista dell’Africa Center for Strategic Studies.

Mosca ha un ruolo meno pesante, ma resta uno dei principali fornitori di armamenti dei Paesi africani, e attraverso il gruppo Wagner sta estendendo il controllo del territorio e degli apparati di sicurezza (e informazione) di Paesi come Mali, Libia, Sudan, Repubblica Centrafricana e Burkina Faso, ottenendo in alcuni casi anche le concessioni per lo sfruttamento di progetti minerari che diventano lo strumento per arricchirsi fino a diventare potenzialmente più forti del governo ospitante. «La Wagner è accusata di aver commesso diffuse violazioni dei diritti umani per estorcere risorse naturali ai Paesi africani», operando in ambienti «antidemocratici e autoritari dove la corruzione è uno stile di vita», afferma Nantulya.

Dopo la crisi africana del debito degli anni ’90 i Paesi occidentali, che avevano delle colpe in quella crisi, hanno ridotto gli investimenti in Africa lasciando un vuoto che la Cina e la Russia vogliono colmare. I cinesi, in particolare, hanno offerto enormi prestiti per i progetti infrastrutturali della Belt and Road Initiative, che essendo in gran parte sovradimensionati e troppo costosi per generare un ritorno economico mettono i Paesi “beneficiari” nella condizione di dover cedere alle pressioni di Pechino e accettare di restituire il debito cedendo il controllo delle proprie risorse strategiche. La Cina ha fornito prestiti per progetti infrastrutturali a più di 32 nazioni africane tra cui Angola, Etiopia, Kenya, Repubblica del Congo, Gibuti, Camerun e Zambia. Nel suo complesso, l’Africa ha con la Cina un deficit di 93 miliardi di dollari che nei prossimi anni dovrebbe arrivare a 153 miliardi.

Indebitarsi con la Cina significa dover affrontare una significativa instabilità interna, come è successo al Kenya. Pechino rappresenta circa un terzo del debito keniota ed è il secondo finanziatore di Nairobi dopo la Banca mondiale. Ciò non solo ha lasciato questa nazione dell’Africa orientale nella morsa di un debito eccessivo, ma ha anche sovraccaricato l’economia nazionale portando l’opinione pubblica a chiedere una rivalutazione trasparente e responsabile degli investimenti cinesi nel Paese per non fare la fine dello Zambia, un caso esemplare della coercizione economica cinese. Nel 2020 il Paese è andato in default di 17 miliardi di dollari e aveva in Pechino il suo principale creditore. Lo Zambia ha dovuto rivolgersi al G20 per ottenere una riduzione del debito, ma la sua richiesta è ancora bloccata a causa delle obiezioni cinesi.

Quando invece i progetti finanziati dalla Cina sono redditizi e sostenibili, il vantaggio principale è tutto per Pechino, che dove c’è da guadagnare ha blindato i contratti di manutenzione con termini di scadenza che arrivano anche a 99 anni. Inoltre, tutti questi progetti sono pensati per impiegare principalmente manodopera cinese, riducendo così anche il contributo alla riduzione della disoccupazione africana, nonostante molti governi insistano per mantenere una “quota di occupazione” riservata ai propri cittadini.

L’influenza della Cina sull’Africa non si limita a danneggiare l’economia africana, ma ha conseguenze anche sull’economia globale ed è parte di un sistema di controllo geopolitico che secondo analisti e politologi va contrastato attraverso uno sforzo collettivo dell’Occidente e delle nazioni africane più democratiche. Il forte indebitamento di questi Paesi ha dato alla Cina una leva significativa non solo a livello regionale, ma anche nelle organizzazioni internazionali di cui questi Paesi fanno parte, cui viene chiesto di mostrarsi “neutrali” o di schierarsi contro i Paesi occidentali. I voti sulle risoluzioni delle Nazioni Unite sulle guerra in Ucraina hanno reso molto evidente il ruolo delegittimante di questa dinamica.

La presa della Cina e della Russia sulle nazioni africane compromette anche le possibilità di investimento delle piccole e medie imprese, sia riducendone lo spazio d’azione vero e proprio (economie chiuse e governi poco affidabili), sia rendendo più rischiosi gli investimenti nei Paesi promettenti, specialmente per quel che riguarda le imprese che agiscono in maniera indipendente dall’azione politica, e quindi meno protette dal rischio di subire piccole e grandi rappresaglie economiche che risultano difficili da riconoscere ufficialmente come tali.

L’invasione russa dell’Ucraina ha stravolto gli equilibri geopolitici globali e rimesso l’Africa al centro della competizione tra potenze. La Cina e la Russia hanno gioco facile con i governi più autoritari e corrotti, a differenza dei Paesi occidentali non pretendono dalle controparti il rispetto dei diritti umani, dell’ambiente, la trasparenza del sistema giuridico ed economico. Ma tutto ciò sta avendo conseguenze che permetteranno (e obbligheranno) i Paesi occidentali a svolgere un ruolo più costruttivo rispetto al passato. Inizialmente solo alcuni Stati africani diventeranno un luogo di opportunità per le piccole e medie imprese, ma è dai risultati ottenuti in quei mercati che dipenderà il destino del continente. Se saranno l’esempio di una storia di successo, diventeranno un modello di sviluppo per l’intera Africa.