La Settimana Internazionale

Le sanzioni UE sul diesel russo stravolgono forniture e costi

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di Federico Bosco

Il braccio di ferro delle sanzioni occidentali alla Russia non solo non è finito, ma continua a complicarsi rilanciando ogni volta una sfida al difficile equilibrio tra l’entrata in vigore di nuove misure sanzionatorie e gli strumenti per ridurre l’impatto negativo sulle economie dei paesi che le introducono.

La nuova sfida per l’Unione europea e per il G7 è mettere un tetto al prezzo del diesel russo per scongiurare gli effetti dell’embargo europeo sulle importazioni via mare di prodotti petroliferi raffinati (diesel, cherosene, olio combustibile), che entrerà in vigore il 5 febbraio affiancandosi all’embargo sul petrolio in vigore da dicembre. I funzionari stanno lavorando su due diversi price cap: uno per il diesel, prodotto molto richiesto che viene venduto a prezzi più alti dei normali barili di petrolio, e uno per gli altri combustibili, meno richiesti e meno costosi rispetto ai normali barili di greggio.

L’obiettivo è lo stesso del price cap sul petrolio: ridurre le entrate di Mosca senza privare il mercato globale delle forniture russe, per impedire che si crei un vuoto di offerta e di conseguenza un aumento dei prezzi che avrebbe ricadute anche nelle economie che non importano barili russi – come gli Stati Uniti, e da dicembre anche l’Ue.

Il tetto al prezzo del diesel russo dovrebbe essere fissato a 100 dollari al barile, quello per gli altri prodotti raffinati (come l’olio combustibile) a 45 dollari. Le società che rispetteranno i price cap potranno continuare a servirsi delle assicurazioni e dei servizi finanziari occidentali per commerciare e trasportare barili di petrolio russo.

Le discussioni tra funzionari dei Paesi europei sono iniziate in modo formale venerdì e dovrebbero andare avanti per alcuni giorni. Da una parte ci sono le nazioni che cercano di imporre misure più severe per l’economia russa, dall’altra chi non vuole destabilizzare un mercato importante come quello del diesel. L’anno scorso infatti circa la metà delle importazioni di diesel nell’Ue e nel Regno Unito è arrivata dalla Russia, gli operatori dovranno adattarsi a un altro stravolgimento epocale.

C’è ancora incertezza sulla capacità dei Paesi europei di riuscire a colmare abbastanza rapidamente il vuoto delle forniture di diesel russo, ma un price cap sostenibile dovrebbe garantire che le esportazioni di Mosca vengano rapidamente dirottate in altre parti del mondo mantenendo in equilibrio le forniture e le negoziazioni del mercato globale.

I funzionari occidentali pensano che il diesel russo che veniva venduto in Europa troverà facilmente acquirenti in America Latina e Africa, mentre l’Europa aumenterà la quota di acquisti dal Medio Oriente e dagli Stati Uniti, che attualmente vendono diesel in America Latina e Africa.

Vista così appare come una facile riorganizzazione dei flussi commerciali, ma sono cambiamenti che porteranno a un aumento dei costi di trasporto. Molte petroliere destinate al mercato europeo dovranno affrontare più di frequente viaggi più lunghi (e costosi) per arrivare a destinazione, aumentando i trasferimenti attraverso le lunghe rotte dell’Atlantico invece che in quelle più brevi del Baltico e del Mar Nero. Bruxelles teme un’improvvisa carenza di diesel sul mercato europeo, e una corsa al rialzo dei prezzi alla pompa di un carburante che, essendo largamente usato nel settore commerciale e logistico, rischia di spingere al rialzo l’inflazione.

Secondo i dati di Ice Futures Europe, nell’Europa nord-occidentale i futures sul diesel vengono scambiati a circa 125-130 dollari al barile, quelli del diesel russo a 115-120  dollari. Tuttavia, negli ultimi tempi le forniture russe vengono trattate con un forte sconto rispetto a quelle provenienti da altri Paesi, pertanto un price cap a 100 dollari non dovrebbe avere effetti dirompenti, i barili russi non spariranno dal mercato.

Con l’entrata in vigore dell’embargo europeo sui prodotti raffinati, Mosca farà molta fatica a vendere diesel a più di 100 dollari al barile, così come non sta riuscendo a vendere barili di greggio a valori vicini ai 60 dollari del price cap sul greggio degli Urali, che India e Cina ormai comprano abitualmente a circa 37-45 dollari. Per la Russia, infatti, la vera sanzione non è il price cap, ma la perdita del mercato europeo, che fino al 2021 è stato il principale mercato di sbocco del settore (quello petrolifero) che rappresenta la principale fonte di entrate per il bilancio della Federazione Russa.

Se la decisione sarà raggiunta in tempo, i price cap sui prodotti raffinati entreranno in vigore dal 5 febbraio assieme all’embargo, ma alle navi che trasportano prodotti comprati prima di questa data sarà concesso di portare a termine la consegna entro la fine di marzo. A un anno dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina la frattura tra l’Europa e gli idrocarburi russi diventa sempre più profonda.