La Settimana Internazionale

UE, battaglia per la coesione

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di Attilio Geroni

Le crepe nella coesione europea sull’invio di armi all’Ucraina sono sempre meno sotto traccia. In realtà più che di crepe, sarebbe giusto parlare di visioni diverse, sia pure in un’unità d’intenti che ha finora sempre trovato un accordo formale sulle sanzioni contro la Russia, giunte ormai al 10° pacchetto.

Due fatti in particolare hanno reso nei giorni scorsi piuttosto evidenti le differenze tra un’Europa che aiuta militarmente l’Ucraina con l’obiettivo dichiarato di voler arginare e respingere la Russia e un’Europa che fa lo stesso, ma è al contempo consapevole di dover trovare un accordo con il Cremlino per porre fine alla guerra.

Il primo riguarda la visita del presidente americano in Polonia, la seconda in pochi mesi. Proprio da Varsavia Joe Biden si è posto come antitesi al discorso neoimperialista e vittimista di Vladimir Putin, a un anno dall’invasione russa dell’Ucraina. Un’investitura importante nei confronti di un Paese che, nonostante mantenga aperto con l’Unione europea un gravissimo contenzioso sulla violazione dello Stato di diritto, è diventato la prima linea dell’argine europeo alla tragedia ucraina: sia come accoglienza dei profughi, circa 1 milione e mezzo in un anno; sia come fornitore di armi e sistemi d’arma a Kiev, ad esempio con la consegna dei primi carri armati Leopard.

La Polonia, assieme soprattutto alle Repubbliche Baltiche, ai Paesi scandinavi, al Regno Unito e ovviamente agli Stati Uniti, è fautrice di una linea – giusta o sbagliata che sia, non è questo il punto – senza compromessi nei confronti del Cremlino. Soltanto continuando a fornire le armi necessarie all’Ucraina, argomentano, si rafforzerà la capacità di resistenza di Kiev e si fiaccherà quella offensiva di Mosca costringendo quest’ultima quantomeno a sospendere l’aggressione e solo dopo a cercare una forma di compromesso.

Altri importanti Paesi europei come Germania e Francia, e qui veniamo al secondo fatto rilevante, la pensano diversamente, e secondo quanto rivelato dal Wall Street Journal sarebbero al lavoro su un piano per offrire all’Ucraina garanzie sulla sicurezza e la difesa e convincere di conseguenza il presidente Volodymyr Zelensky ad aprirsi all’ipotesi di un negoziato.

Le reazioni negative o fredde da parte di esponenti politici dell’Europa Centro-orientale non si sono fatte attendere e molti hanno ricordato quanto queste garanzie nei confronti dell’Ucraina – già fissate sul piano internazionale nel Memorandum di Budapest del 1994, quando Kiev cedette alla Russia il proprio arsenale nucleare – siano evaporate con l’invasione del 24 febbraio 2022.

Tra questi, il ministro degli Esteri lituano Gabrielus Landsbergis, in un lungo thread su Twitter ha sintetizzato il “pensiero forte” dell’altra Europa, spesso fatta di piccoli Paesi che confinano con la Russia e hanno al proprio interno importanti comunità russofone, come la stessa Lituania, la Lettonia e l’Estonia. Secondo Landsbergis «l’Ucraina può vincere», e tra i miti da sfatare in Occidente c’è sicuramente quello che «la Russia sia imbattibile». Avverte però che Mosca non si siederà al tavolo delle trattative perché stanca: Putin ha annunciato una crociata, «quindi non può fermarsi». E ricorda che la seconda guerra mondiale non è finita grazie a una negoziato. Per lui, come per altri leader di questa Europa più affine alla linea anglo-americana, «la pace è nel rispetto dei confini» e «potrà essere sostenibile solo se Putin sarà sconfitto».

Sono parole dure secondo altri alleati europei, e forse, nel gioco delle parti, vanno di proposito più lontano di quelle pronunciate dallo stesso Biden a Varsavia. L’Unione europea ha alle spalle un anno di decisioni storiche, di linee rosse attraversate con impressionante rapidità, a cominciare dall’utilizzo, per la prima volta, dello European Peace Facilitycome strumento di finanziamento delle armi all’Ucraina. Davanti a sé non ha un futuro meno complicato. La Russia di Putin promette una guerra senza fine, o quantomeno di lungo termine, e sa benissimo come far leva sui diversi sentimenti che in Europa animano il contrasto all’invasione dell’Ucraina. Il mantenimento della coesione sarà l’altra battaglia quotidiana dell’Unione.