La Settimana Politica

Il Pd ha smarrito la realtà: un partito in cerca d’autore

Scritto il

di Silvio Magnozzi

Il Pd ha perso. Il Pd ha cominciato a cercare il nuovo segretario che dovrà sostituire lo sconfitto (alle politiche) Enrico Letta. Il Pd sta pure ragionando al proprio interno di cambiare nome. Come se un nuovo battesimo fosse la panacea per una crisi politica che arriva da lontano. A parte la premessa di partenza, il ko elettorale, con la cura non ci siamo.

Non basterà infatti un cambio leaderistico e tantomeno una verniciata nominalistica a ridar linfa a quello che nei sogni di Walter Veltroni, parecchi anni fa, era il 2008, doveva essere un partito a vocazione maggioritaria. La vocazione è evaporata in breve tempo e con lei non ha mai preso corpo una identità chiara del Partito democratico.

Il Pd e l’identità smarrita

Di sinistra? Di sinistra-centro? Di centro-sinistra? Di centro e tanti saluti alla sinistra e al trattino?  Trovar collocazione ai democratici è oggi cosa ardua perché nei fatti sono soprattutto un partito di governo e di establishment. Un partito più di classi dirigenti e amministratori che di popolo. In questi anni, dalla sconfitta del 2008 del Pd di Veltroni contro il centrodestra di Silvio Berlusconi, il Pd è andato al governo per sostenere due tecnici, prima (caduto il governo del Cavaliere) Mario Monti e poi – anni dopo – Mario Draghi passando da un governo Conte e dalle esperienze di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Ha governato diversi anni senza essere per nulla maggioritario e anzi non avendo neppure vinto le elezioni.

Ormai allergico allo stare all’opposizione il Partito democratico in questi quattordici anni ha consumato il suo rapporto con pezzi di mondo e di popolo: dagli operai delle fabbriche (sempre più orientati a votare a destra) ai commercianti passando per le piccole e medie imprese, per le partite iva ed i giovani. Si tratta di realtà italiane importanti, di tessuti economici che costituiscono la fibra del nostro Paese così eterogeneo e ricco di talenti.

Il futuro del Pd

Per questo oggi il Pd, finito sotto al 20%, con un crollo di quasi 14 punti rispetto al risultato delle elezioni del 2008 dove finì comunque sconfitto, anziché perder tempo a cercare figure carismatiche (non se ne vedono molte in giro) adatte a fare il leader o ad imbastire chiacchiere sul cambio di nome deve cominciare con il riportare al centro ciò che ha smarrito: identità e programmi. Fare i conti con la realtà è il vero cambiamento che i dirigenti del Pd e la sua classe di vertice devono compiere, guardandosi allo specchio e senza essere indulgente verso gli errori – tanti – commessi in questi anni.

Focalizzata la diagnosi politica di ciò che non va, a quel punto i piddini – prima di scegliere nuovi leader e di cambiar nome – dovranno quindi decidere cosa vogliono essere, facendo i conti con una realtà che per gli italiani, dopo il Covid e con la guerra e le bollette alle stelle, si fa sempre più difficile e che non è fatta soltanto di centri urbani ma anche di periferie, non solo di ricchi, colti e benestanti ma anche di poveri e insoddisfatti.

Deve cambiare il Pd ma non guardando ai talk show dove andare a discutere tra politici e giornalisti ma guardando alle realtà italiane. Piccole e medie imprese, commercianti, artigiani, operai, giovani. La sfida più difficile ma anche l’unica per non finire con un epitaffio adatto al passato ma non al futuro: un partito con un grande avvenire dietro le spalle. A vocazione minoritaria.