La Settimana Politica

Il voto americano e le democrazie spaccate a metà

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di Silvio Magnozzi

Che Dio benedica l’America. Anche se stavolta di una benedizione laica per la verità han bisogno non soltanto gli Stati Uniti ma pure le democrazie europee ed occidentali. Il voto in USA per le elezioni di midterm di martedì 8 novembre è infatti la fotografia di una democrazia americana spaccata a metà, una sorte simile a quanto accaduto in Brasile e in misura minore in Francia e in Italia.

Le urne americane non hanno visto infatti l’onda lunga repubblicana e i democratici hanno retto al Senato, con un testa a testa di cui sapremo l’esito probabilmente nei prossimi giorni mentre sono andati meno bene alla Camera.

Cosa emerge dalle elezioni USA

Le indicazioni che possiamo trarre da questa tornata elettorale sono diverse. La prima, che una leadership non carismatica come quella del presidente Joe Biden ha comunque tenuto. Il che non era affatto scontato dopo le ultime presidenze che carismatiche lo erano, di Donald Trump e di Barack Obama.

La seconda considerazione è che Trump risulta ancora abbastanza forte tra i repubblicani ma che per le presidenziali del 2024 potrebbe essere insidiato alle primarie dal governatore repubblicano della Florida Ron DeSantis, riconfermato da un gran successo nel suo Stato.

La terza indicazione riguarda il tema della guerra in Ucraina e del sostegno americano alla libertà di Kiev contro l’invasione russa. Un tema questo che non è stato per nulla centrale nella campagna elettorale per le elezioni di midterm dove la sfida repubblicani contro democratici si è giocata e combattuta soprattutto su temi identitari e su questioni di economia.

Quarto aspetto: il ruolo dei giovani. Il loro voto, secondo buona parte degli analisti americani, motivato soprattutto (ma non solo) dal diritto all’aborto avrebbe salvato i democratici da una debacle che era prevista in termini piuttosto pesanti dai sondaggi svolti prima del voto.

Quinto punto, quello a nostro modo di vedere sostanziale e che ci riallaccia alla partenza di questo nostro ragionamento sul voto negli Stati Uniti (e non solo): la democrazia USA è in evidente crisi. La campagna elettorale si è giocata infatti non con una condivisione di valori elementari ma con i democratici che hanno sventolato il pericolo di fascismo nel caso di una vittoria dei repubblicani (soprattutto dei  trumpiani). Ed i repubblicani che hanno risposto parlando addirittura di possibili brogli elettorali. Questo incrociar di spade indica chiaramente che i due fronti politici non si riconoscono più come legittimi l’uno con l’altro. E il riconoscimento reciproco, seppur in profonde e radicali diversità dei programmi politici, è valore e collante necessario di una democrazia matura.

Un andazzo questo del non riconoscimento che si è manifestato pari pari in altre elezioni. In Brasile tra Lula (che ha vinto di un soffio) e Bolsonaro e in maniera meno intensa ma comunque fastidiosa in Francia e in Italia dove un tema come l’immigrazione divide le parti politiche da anni e con una incomunicabilità crescente.

Ecco allora che le elezioni americane oggi rappresentano qualcosa di più di un voto di midterm. Sono una lezione per i Paesi occidentali e per le democrazie. In uno dei momenti più tragici dalla seconda guerra mondiale ad oggi il mondo libero non può infatti permettersi di consumare la crisi del miglior sistema politico (seppur imperfetto) che si conosca sinora: la democrazia. Sarebbe un suicidio politico. Anzi, geopolitico.