La Settimana Politica

Lo spauracchio della recessione aleggia su Davos

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di Silvio Magnozzi

Ormai da un po’ di anni i cittadini sono abituati al significato di alcune parole che descrivono fenomeni ed indicatori economici i cui effetti si riversano nella vita quotidiana di ognuno di noi. Recessione, crescita, inflazione, tassi di interesse, spread e via discorrendo. Come questo settimanale ha già argomentato in passato, oggi far politica vuol dire soprattutto saper governare due settori vitali del mondo contemporaneo: la politica estera e appunto l’economia.

A Davos, in Svizzera, anche quest’anno si svolge il World Economic Forum (cominciato il 16 gennaio e che si chiuderà oggi). Ebbene, la maggioranza degli economisti presenti al Forum hanno previsto il rischio di una recessione globale, a causa delle tensioni geopolitiche (compresa la guerra d’invasione russa in Ucraina).

Tra i punti sottolineati poi vi è anche il tema delle banche centrali, quella americana (la Fed) e quella europea (la Bce), che continueranno nella loro stretta monetaria per combattere l’inflazione. Il vero ostacolo per l’economia occidentale riguarda dunque la crescita, prevista assai debole sia nella vecchia Europa sia negli Usa (che stanno, da questo punto di vista, meglio del Vecchio Continente).

Cosa può fare la politica, questa la domanda che le democrazie mature – Italia compresa – devono porsi, per cercare di evitare che le previsioni che arrivano da Davos diventino realtà? Una leva che i governi possono utilizzare è quella della spesa pubblica. Gli Stati Uniti, se vogliono, possono metterla in campo subito.

Per l’Italia e per i paesi europei la questione invece è un po’ diversa, visto che per agire sulla spesa si deve ragionare sui parametri con l’Unione europea, il che non è necessariamente un male e può diventare anche un’opportunità.

L’Italia, ad esempio, avendo un debito pubblico molto alto, per agire sulla spesa e andare incontro alle esigenze dei cittadini – nel caso si manifestasse una recessione duratura – deve avere un programma di buona spesa (ovvero produttiva) e trovare delle sinergie con altri paesi Ue che abbiano interessi convergenti.

Uno di questi c’è ed è la Francia di Macron che può avere interesse a muovere i limiti europei per fare un po’ di debito buono. Perciò suona molto azzeccata e confortante la completa rappacificazione, dopo le tensioni sul tema degli sbarchi, raggiunta tra Roma e Parigi. Una ritrovata sintonia suggellata dalla telefonata tra la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e il presidente Emmanuel Macron martedì scorso. Nel colloquio i due leader hanno ribadito «la volontà di garantire il pieno sostegno all’Ucraina e l’urgenza di individuare a livello europeo soluzioni efficaci per sostenere la competitività delle imprese europee e per contrastare l’immigrazione illegale attraverso un effettivo controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea». E l’intesa non si ferma qui visto che un comunicato di Palazzo Chigi ha specificato che «il Presidente del Consiglio Meloni e il Presidente Macron hanno concordato di continuare a confrontarsi su queste tematiche largamente condivise».

Politica estera, economia e immigrazione. Tre temi fondamentali nelle politiche di Italia e Francia e che riguardano direttamente i cittadini di entrambi i Paesi. Se l’intesa si consoliderà, diventando un asse europeo per cambiare alcune cose (a cominciare dal tema del fare un po’ di debito buono), nonostante le previsioni che arrivano da Davos, l’Italia (ma anche la Francia e l’Ue) avrà tutte le carte in regola per affrontare pure una (eventuale) tempesta.