La Settimana Politica

PNRR a rischio senza una riforma per la «buona amministrazione»

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di Mariarosaria Marchesano

Da un po’ di tempo si sente parlare di PNRR «fuori tempo» e della difficile «messa a terra» del piano europeo poiché implica una capacità di spesa che l’Italia non avrebbe, non nei tempi previsti, vale a dire 200 miliardi entro il 2026.

In queste settimane esponenti di primo piano del governo Meloni, come il ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, e il superministro Raffaele Fitto, che adesso ha anche la delega al Sud, oltre che agli Affari europei, alle politiche di coesione e al Pnrr, hanno lasciato intendere che l’ipotesi di ridiscutere il piano con l’Unione europea è molto concreta.

L’idea è di procedere con una verifica di dettaglio degli interventi programmati eliminando dal cronoprogramma del Pnrr quelli per i quali già da adesso si possono prevedere forti ritardi sui tempi di realizzazione. Parallelamente, è stata avviata una ricognizione delle risorse inutilizzate del periodo 2014-2020 per vedere se possibile riconvertirle sul caro bollette nell’ambito del programma Repower eu, che punta ad aiutare gli Stati europei ad affrancarsi dalla dipendenza energetica dalla Russia.

In pratica, il governo vorrebbe, da un lato, rastrellare fondi Ue non spesi per continuare a finanziare gli aiuti a famiglie e imprese, e dall’altro tenta di scongiurare il pericolo di dover restituire all’Europa una parte dei finanziamenti perché non è stato in grado di utilizzarli. Rischio, per la verità, molto concreto se si pensa che la previsione di spesa di quest’anno del Piano è passata prima da 42 miliardi a 33 miliardi e successivamente è stata ridimensionata a 21 miliardi come risulta dai dati della Ragioneria generale dello Stato. Non è la prima volta che emerge la preoccupazione del governo Meloni sul PNRR visto che una delle prime esternazioni (poi in parte rettificata) della premier quando si è insediata a Palazzo Chigi è stata sui «ritardi» che avrebbe ereditato dall’esecutivo di Mario Draghi.

Ma a parte i dubbi sulla fattibilità di una rinegoziazione del Piano con Bruxelles, quello che sorprende è la totale assenza dal dibattito pubblico della necessità di riformare la pubblica amministrazione, che è sempre stata la condizione indispensabile per realizzare il PNRR. È noto che la difficoltà nella gestione delle risorse degli enti del Sud Italia rappresenta un potenziale rischio, ma rallentamenti e ritardi si cominciano a registrare anche nel Nord perché i Comuni sotto i 25mila abitanti non hanno personale sufficiente per gestire i bandi.

Nei giorni scorsi ci ha pensato l’Upb, l’Ufficio parlamentare del bilancio a lanciare l’allarme. Nella sua ultima audizione sulla nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, la presidente Lilia Cavallari ha detto che «bisogna evitare che il programma di spesa del Pnrr venga ulteriormente rimodulato, perché ciò avrebbe conseguenze sul percorso di crescita dell’economia indicato nella Nadef». E ha aggiunto che per rispettare i tempi di attuazione del Piano servono «un ulteriore rafforzamento della capacità amministrativa e una più decisa semplificazione dei processi autorizzativi. In particolare, per realizzare la crescita prevista per gli investimenti nel 2023 (34,7%) sarà necessario uno sforzo straordinario da parte di tutti i soggetti attuatori».

Peccato, però, che di tutto questo il governo non parli, così come delle misure legislative necessarie per accompagnare le riforme che mancano all’appello.

Uno studio dell’Università Cattolica spiega che la riforma per la «buona amministrazione» va presa sul serio perché «è in gioco il futuro del sistema Paese o, per meglio dire, la nostra capacità di futuro, individuale e comunitario». Nello studio, di Barbara Boschetti e Benedetta Celati, è citato anche un sondaggio Ipsos-Istituto Tonioli, dal quale emerge come il 77% dei cittadini mostri fiducia nella possibilità che la riforma della pubblica amministrazione venga effettivamente attuata. Per la verità, lo stesso sondaggio dice anche che il 50% degli intervistati non conosce le riforme contenute nel PNRR.

In soldoni, esiste la consapevolezza che occorrono delle azioni per mettere Regioni e Comuni nelle condizioni di utilizzare nei tempi previsti i circa 200 miliardi del PNRR – il più grande e massiccio piano finanziario dal dopoguerra – ma metà della popolazione ignora nel concreto di cosa si tratti. Perdere la scommessa della riforma per la buona amministrazione – dunque – non solo rappresenta un danno per l’Italia in termini di efficienza del sistema Paese «ma vorrebbe dire anche rinunciare all’opportunità di valorizzare quel tesoro di fiducia nelle riforme che l’Ipsos ha permesso di rilevare».