La Settimana Politica

Renzi al Settimanale: ​​​​​​​«Macché fascismo, il vero pericolo è lo sfascismo dei conti pubblici»

Scritto il

di Claudio Brachino e Beppe Ceccato

Caro energia e caro bollette, che farà a breve termine e come scelte strutturali?
«Il Governo Draghi sta studiando un pacchetto di aiuti per sostenere famiglie e imprese messe in ginocchio dal costo dell’energia: si sarebbe potuti intervenire prima, se Giuseppe Conte non avesse bloccato in Senato i 17 miliardi del decreto aiuti bis per inseguire i sondaggi. Accanto alle misure immediate, il Governo sta lavorando per arrivare a fissare un tetto europeo al prezzo del gas. Dobbiamo lavorare perché il tetto non si limiti al gas russo, ma a tutto il gas. Certo, se Conte, Salvini e Berlusconi non avessero sfiduciato Draghi, oggi sarebbe tutto più semplice: un premier dimissionario, per quanto autorevole, ha meno forza al tavolo delle trattative. L’obiettivo deve essere quello dell’indipendenza energetica: sì quindi al rigassificatore di Piombino, sì alle trivelle per estrarre gas nell’Adriatico, sì alle rinnovabili e no ai veti delle sovrintendenze. A lungo termine, sì al nucleare di ultima generazione. Noi siamo il partito del sì, contro il partito del no a tutto che va da Meloni e Salvini a Letta e Fratoianni».

Bastano il secondo decreto aiuti e i 13 miliardi stanziati ora da Draghi?
«Potrebbero non essere sufficienti e in tal caso si interverrà: l’idea di lasciare sole le famiglie ad affrontare costi delle bollette e rincari dovuti all’inflazione non è neppure immaginabile. In ballo c’è il tessuto produttivo del Paese. Per questo quello che accadrà in Europa sarà fondamentale. Un gruppo di Paesi si oppone a un tetto generalizzato al prezzo del gas. Questa vicenda, così come il dossier immigrazione in passato o la guerra in Ucraina, dimostra ancora una volta come sia necessario accelerare il processo di integrazione europea. In un mondo globalizzato non si può competere con giganti come Russia e Cina subordinando le decisioni ai veti di singoli Paesi. Il sovranismo fa male all’ Italia, il federalismo europeo la fa crescere».

Voi, lei e Calenda, vi siete intestati l’agenda Draghi come principio politico. Ma in termini economici, per l’autunno difficile degli italiani, come si tradurrebbe?
«Seguire l’agenda Draghi significa approcciare ai problemi in modo serio e concreto, non con gli slogan e le promesse irrealizzabili. Significa dire sì alle grandi opere, no all’ aumento delle tasse, sí alle riforme, sí all’euroatlantismo e no alla Russia di Putin. Il dossier più caldo dell’autunno, da risolvere il prima possibile, è quello energetico. Così come il contenimento dell’inflazione: noi proponiamo fra le altre cose di dare la possibilità alle imprese di pagare un mese di stipendio in più ai dipendenti, detassato e decontribuito per poi dare la possibilità di recuperarne la metà con il credito di imposta».

È d’accordo su un eventuale scostamento di bilancio per le emergenze immediate dei fragili?
«Sono d’accordo con l’approccio prudente di Mario Draghi: se si può evitare di fare un nuovo scostamento di bilancio recuperando risorse altrove, è meglio. Uno scostamento esporrebbe l’Italia a rischi speculativi».

Reddito di cittadinanza, abolirlo o rifarlo?
«Il reddito di cittadinanza non ha funzionato: non solo perché ha prodotto truffe per milioni di euro, ma perché è un approccio culturalmente sbagliato al problema della povertà. La povertà non si combatte annunciando da un balcone di averla abolita, ma con la formazione e con il lavoro. Con il jobs act abbiamo creato 1 milione e 200mila posti di lavoro, di cui la metà a tempo indeterminato. Questo è l’approccio riformista, non i sussidi che piacciono tanto al M5S e al Pd di Letta. Noi proponiamo che si perda il reddito al primo rifiuto di un’offerta di lavoro».

Questo settimanale si rivolge principalmente al mondo delle Pmi. Di quanto conti in assoluto questo mondo lo dicono tutti, ma gli imprenditori hanno la sensazione di non contare nulla politicamente. Lei si candida al Nord, cosa ha in mente di specifico per quel mondo?
«Per anni in Italia c’è stata una cultura anti imprese che ha descritto gli imprenditori come evasori e nemici da combattere. Bisogna dirlo chiaramente: gli imprenditori di questo Paese vanno ringraziati altro che additati. Schiacciati da una pressione fiscale altissima, hanno creato realtà bellissime conosciute in tutto il mondo. È l’impresa che crea lavoro, non certo i sussidi. Un largo spazio del nostro programma è dedicato al mondo delle imprese: se da un lato chiediamo di implementare industria 4,0 per far crescere la produttività, dall’altro proponiamo di tutelare le piccole imprese favorendo il credito diretto e le garanzie e promuovendo la formazione, coprendone parte dei costi, così da risolvere il problema della mancanza di manodopera qualificata».

Capitolo tasse, abbiamo sentito di tutto come al calcio mercato. Qualcosa di concreto e di sostenibile?
«Prima di tutto ci opporremo sempre a qualsiasi aumento delle tasse. Letta ha iniziato la sua campagna elettorale proponendo una tassa di successione: ma come si fa? La tassa di successione può funzionare in un Paese che non ha la nostra pressione fiscale, non certo qui. Serve una riforma dell’ IRPEF: bisogna semplificare, non si può avere un manuale di istruzioni irpef da 341 pagine. Proponiamo poi l’abolizione dell’IRAP, percorso iniziato da Draghi e che va completato. E ancora, aiutare i giovani ad avviare le imprese attraverso la detassazione».

Se dovesse vincere o stravincere la Meloni, lei è tra quelli spaventati anzi angosciati per la democrazia?
La Meloni non è un pericolo per la democrazia, ma per il portafoglio degli italiani. Non credo a un pericolo fascista ma a un pericolo sfascista sui conti pubblici. Noi proveremo a riportare Draghi, ma se dovesse governare Meloni saremo un’opposizione seria e responsabile».

Non crede che  fare una campagna elettorale ad personam abbassi il livello del dibattito pubblico sui contenuti e aumenti il partito di quelli che non vogliono votare?
«Enrico Letta ha determinato la sua sconfitta non solo con scelte elettorali miopi ma anche passando la campagna elettorale ad attaccare me e Calenda o ad agitare lo spettro della paura, del pericolo per la democrazia. Noi preferiamo parlare di programma, di idee per il futuro dell’Italia e provare a convincere proprio chi non vuole andare a votare».