La Settimana Politica

Ricolfi: “Idee politiche migrate dalla sinistra alla destra”

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di Beppe Ceccato

La Mutazione. Sottotitolo: Come le idee di sinistra sono migrate a destra, è l’ultimo libro del sociologo Luca Ricolfi, mandato alle stampe il 22 settembre scorso, dopo la campagna elettorale più strana e anomala che la Repubblica abbia mai avuto. Una spigliata e solida indagine su un’Italia che sembra aver perso, soprattutto politicamente, i propri punti di riferimento, dove destra e sinistra sono i protagonisti di una pièce teatrale pirandelliana in cui i rispettivi DNA si sono progressivamente invertiti. La sinistra ha perso i suoi cromosomi principali, alcuni dei quali hanno attecchito sul filamento opposto.

Il titolo del suo ultimo libro ricorda ambientazioni alla Cronenberg. Siamo a questo punto?

«Non direi, la mutazione del sistema politico non è drammatica, si tratta solo di un arricchimento del repertorio della destra (o meglio della nuova destra di Giorgia Meloni) e di un impoverimento del patrimonio ideale della sinistra. Nella storia succede che le cose cambino, l’importante è prender atto delle nuove realtà, senza negarle, travisarle o nasconderle».

Il suo lavoro è diviso in tre macro aree, Il grande Swap, Da libertari a censori e L’eclissi dell’Eguaglianza. Una progressione che ha una logica ferrea, ce ne può parlare?

«C’è una logica, nel senso che le vicende degli ultimi 60 anni possono essere viste come una lunga traversata per conquistare il governo e diventare establishment. Il progressivo abbandono delle proprie bandiere è stato funzionale a questa traversata. Ma c’è anche una successione temporale: il grande Swap, ossia la rinuncia a difendere i deboli, è il cambiamento più recente, perché iniziato solo 30 anni fa. Più remota è la trasformazione in censori, iniziata circa 40-45 anni fa con l’adesione acritica al politicamente corretto, la cui ipocrisia non mancò di essere denunciata da Natalia Ginzburg. Ancora più antica, perché risalente a 60 anni fa (con la nascita della media unica), è la rinuncia a perseguire l’eguaglianza attraverso la cultura alta, vista come strumento e occasione di emancipazione dei ceti popolari».

Rimanendo nella prima macroarea: com’è stato possibile il grande Swap?

«Lo scambio tra le basi sociali della sinistra e della destra, per cui i ricchi e colti votano a sinistra, mentre i poveri e poco istruiti votano a destra, ha due matrici distinte, anche se interconnesse. La prima è l’adesione acritica all’ideologia del mercato come meccanismo di promozione sociale, un’adesione che è divenuta totale ed esplicita con la “terza via” di Anthony Giddens e Tony Blair, verso la fine degli anni ’90. La seconda matrice è l’esplosione dei flussi migratori, che hanno innescato una domanda di protezione sociale che la sinistra ha preferito ignorare e la destra ha scelto di raccogliere. Non solo in Italia, ma un po’ ovunque in Europa, e pure negli altri paesi occidentali avanzati».

Nel cambio di basi vede anche una responsabilità per come si fa cultura ed educazione nelle scuole? Una buona responsabilità ce l’hanno la televisione generalista e l’uso acritico dei social…

«No, il modo in cui si fa cultura ed educazione, o in cui si fa televisione, lo vedo più come fattore di ampliamento delle diseguaglianze. L’abbassamento degli standard dell’istruzione ha creato un vasto settore di cittadini culturalmente deprivati, ma non mi spingerei a dire che questo abbia favorito lo spostamento a destra dei ceti popolari e lo spostamento a sinistra dei ceti medio-alti. Può anche darsi che qualcosa del genere sia successo, ma non esistono dati che lo comprovino».

Lei parla di “glebalizzazione”, può spiegarci perché?

«In realtà ne parlo citando il filosofo Diego Fusaro, che parla dei processi migratori come deportazioni. Io condivido la tesi secondo cui una parte degli immigrati sono relegati in una condizione paraschiavistica, o di moderni “servi della gleba”, ma non condivido la tesi della deportazione. Il fatto che padroncini, imprenditori e famiglie siano ben felici di avere forza lavoro immigrata a basso costo, non significa che deportino gli immigrati, i quali invece quasi sempre scelgono volontariamente di entrare in Europa».

Provocazione: il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo e l’inno libertario El pueblo unido jamás será vencido, diventeranno valori della destra?

«Mah, non mi sento di escludere una evoluzione vagamente peronista-populista della destra, e in particolare di Fratelli d’Italia. Però i ceti popolari che, oggi in Italia, sostengono la destra sono molto diversi da quelli che, in passato, sostenevano la sinistra: meno operai e ceti medi riflessivi, più lavoratori autonomi, disoccupati, lavoratori precari».

Ha diviso gli italiani in tre società, quella delle garanzie, quella del rischio e, infine, quella degli esclusi. Ce le può descrivere? Sono modelli tipicamente italiani o si possono applicare anche ad altri Paesi?

«Sono modelli tipicamente italiani, perché in nessun paese occidentale sono così pronunciati alcuni tratti sociali: peso del lavoro autonomo, economia sommersa, fratture territoriali, presenza di una infrastruttura paraschiavistica:

  • a società della garanzie include i dipendenti pubblici e i dipendenti privati stabili delle imprese medie e grandi, per lo più tutelati dalle organizzazioni sindacali;
  • la società del rischio comprende i lavoratori autonomi, i dipendenti delle piccole imprese, i precari delle imprese medie e grandi;
  • la società degli esclusi comprende i lavoratori in nero, disoccupati veri e propri (che cercano attivamente un lavoro), i cosiddetti lavoratori scoraggiati (che non cercano lavoro, ma che accetterebbero di lavorare)».

Sul linguaggio ha dedicato più pagine: la ricerca del politicamente corretto a ogni costo è diventata un’arma di distrazione di massa?

«Non direi, piuttosto è diventata un’arma di autodistruzione della sinistra, che la ha allontanata sempre di più dalla sensibilità dei ceti popolari. Guia Soncini, che non le manda a dire, ha colto perfettamente il punto quando provocatoriamente ha sentenziato: «se la sinistra cavilla sulle puttanate poi governa la destra».

A proposito di linguaggio: il comunicato stampa ufficiale della presidenza del Consiglio dei Ministri sull’incontro della Meloni con la Von der Leyen è singolare, il presidente del consiglio Giorgia Meloni ha incontrato la presidente della Commissione Ue…

«Singolare, ma bisognerà abituarsi. Ognuno sceglie gli articoli, i pronomi e le desinenze che gli pare, basta che poi non si offenda se qualcun altro si confonde e usa quelli sbagliati. L’importante è la tolleranza, se non c’è volontà di offendere va tutto bene, anche se secondo me sarebbe meglio non far proliferare i pronomi, come negli Stati Uniti stanno cercando di fare gli attivisti LGBT».

Tema dibattuto: perché la cultura si crede sia da sempre appannaggio della sinistra?

«Perché, stante l’egemonia culturale conquistata dal Partito comunista nel dopoguerra, ed ereditata dal mondo progressista, in Italia dichiararsi di destra è troppo costoso in termini di carriera, privilegi, accesso ai media, inclusione nelle cerchie giuste».

Nelle conclusioni del suo libro parla di “lato oscuro del progresso”: perché?

«Perché il lato oscuro esiste, e solo la destra sembra in grado di riconoscerlo, sicché la fiducia nel progresso è divenuta un tratto distintivo della sinistra, mentre lo scetticismo su alcuni suoi aspetti non marginali è divenuto un tratto distintivo della destra».

Quali aspetti sono problematici?

«Tanti, fin dai tempi di Pasolini e di Mishima: la disgregazione delle culture popolari, la degradazione delle periferie, la disoccupazione tecnologica, la competizione con gli immigrati, l’attacco degli attivisti LGBT agli spazi riservati alle donne (ad esempio nelle carceri e nello sport), l’iperconsumismo, la diffusione delle droghe, l’abbassamento della qualità dell’istruzione, il senso di insicurezza dei giovani».