La Settimana Politica

Nuova ideologia: il reddito di cittadinanza

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di Silvio Magnozzi

C’è una foto, dell’inverno 2019,  che ritrae l’uno accanto all’altro l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte ed il vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio. Entrambi grillini all’epoca (Conte lo è ancora oggi, Di Maio invece no), Giuseppe e Luigi governavano a quel tempo in una maggioranza con la Lega di Matteo Salvini. Ed in quello scatto del febbraio 2019 presentavano alla stampa e agli italiani e alle italiane niente dimeno che …. il nuovo portale per la richiesta del reddito di cittadinanza e la card sulla quale potevano essere accreditati i fondi. Allora le parole di Di Maio furono queste: «In poco più di 7 mesi di governo abbiamo trovato i soldi, scritto il decreto e oggi facciamo un altro passo in avanti per smentire chi ha detto che il reddito è un’illusione, una presa in giro per i cittadini italiani».

Cosa sia una presa in giro nel 2022, quasi quattro anni dopo, andrebbe domandato adesso agli elettori che avevano votato Movimento 5 Stelle e che si sono poi ritrovati un Movimento che ha governato con Salvini, con il Pd, con Renzi, con Berlusconi e che ha sostenuto Mario Draghi presidente del Consiglio. Di quel Movimento, dimezzato nei voti, oggi resta soprattuto una bandiera. Anzi, una bandierina. Il reddito di cittadinanza. Di Maio se n’è andato via dai 5S (vedremo presto se riceverà ufficialmente l’incarico di inviato speciale Ue nel Golfo Persico per competenze in materia energetiche – e non è una battuta) ma il reddito di cittadinanza no. Quello rimane.

Il governo Meloni e la maggioranza di centrodestra non lo hanno tolto subito ma lo hanno ridotto di mensilità e poi si vedrà. Apriti cielo. Dai 5 Stelle si sono subito levate le critiche a questa scelta, con l’andare in piazza a protestare sempre pronto dietro l’angolo.

Proviamo ad uscire dall’emotività che ormai sembra accompagnare sovente le lotte politiche. Ed a ragionare.

Che i poveri in Italia ci siano è un fatto. Che vadano aiutati a non soccombere di stenti per la povertà è una necessità da Paese civile e democratico. Detto questa, una domanda: ma è davvero il reddito di cittadinanza, per come è stato propagandato e realizzato sino ad ora, il modo migliore per combattere le  povertà? Secondo noi no.

Anzitutto non tutti i poveri sono uguali. Ci sono i vecchi, quelli non più in grado di lavorare, che vanno sostenuti con soldi pubblici. E poi ci sono i poveri più giovani, che possono lavorare, ai quali un sostegno va elargito finché non trovano un impiego ma poi è cosa buona (soprattutto per loro) e giusta che lavorino e si sentano parte attiva – e non passiva – della società e del mondo.

Una riforma del sussidio pubblico rispetto alle povertà in questa chiave avrebbe un senso, sociale ma al tempo stesso liberale. Quanto all’ultima – ma non certo in ordine di importanza – questione riguardo al reddito di cittadinanza, ovvero la scelta del governo di centrodestra di non abolirlo già con la manovra di quest’anno è semplice: si chiama fare i conti con la realtà ed evitare di essere travolti dalle ideologie. Soprattutto quelle degli altri, sempre pronti alle piazze.

Non a caso il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nell’illustrare le misure del suo governo, sul tema del reddito di cittadinanza ha usato parole schiette, non di rinuncia e non di attacco. Piuttosto di logica: «Per chi può lavorare, sarà abolito alla fine del 2023».