La Settimana Politica

Sostenere la Tunisia per aiutare l’Europa

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di Silvio Magnozzi

Una telefonata non basta ma può essere un buon punto di partenza. Stiamo parlando della Tunisia, il paese africano in gravi difficoltà e da cui nelle ultime settimane sono partiti migliaia e migliaia di migranti verso l’Italia.

La telefonata ha riguardato il come aiutare la Tunisia ed è andata in scena nei giorni scorsi fra il vicepremier e ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani e il Segretario di Stato americano Antony Blinken.

In una nota il Dipartimento di Stato americano ha fatto sapere che al centro dei colloqui fra i due c’è stato il tema degli aiuti da far arrivare al paese africano, la questione dei migranti, le sfide politiche ed economiche oltre alla necessità di aiutare il governo tunisino a implementare soluzioni durature nel campo delle riforme. Gli Stati Uniti hanno però voluto sottolineare anche l’importanza del fatto che il governo tunisino “metta in atto velocemente il suo programma di riforma economica per affrontare la crisi e giungere a un accordo con il Fondo monetario internazionale”.

E proprio sugli aiuti economici, oltre ai contenuti della telefonata Blinken-Tajani, sta il vero nodo della questione tunisina. I soldi al paese africano servono subito e il Fondo monetario internazionale e l’Unione Europea devono far presto.

Oltre alla questione dei migranti, infatti, che partono per l’Italia (questione che l’Europa conosce bene), l’equilibrio politico della Tunisia è importante per la stabilità di tutto il nord Africa e del Mediterraneo in questi tempi di guerra russa in Ucraina, con Mosca e la Cina che puntano ad allargare le loro zone di influenza nel continente nero.

I russi lo fanno con i mercenari della Wagner mentre i cinesi puntando sull’influenza economica, erogando prestiti ai Paesi in difficoltà e cercando intese commerciali. In questo quadro, con il crescente disimpegno della Francia di Macron rispetto alle sue ex colonie, una scarsa presenza europea e occidentale in Africa rischierebbe di aprire un vuoto geopolitico.

Perciò l’interesse degli Stati Uniti alla questione tunisina (ma non solo: è di questa settimana la visita della vicepresidente Usa Kamala Harris in alcune nazioni africane) è un buon segnale. Con una Libia ancora divisa e non pacificata infatti, una destabilizzazione della Tunisia creerebbe un effetto domino dalle conseguenze difficilmente prevedibili. In proposito, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, prima della telefonata di questa settimana con Blinken, aveva sottolineato che l’Italia sta «lavorando affinché il Fondo monetario internazionale finanzi la Tunisia. Se giustamente si chiedono delle riforme – è la convinzione di Tajani – si può trovare la formula del finanziamento per tranche. Cominciare con 300 milioni di fondi e poi verificare se ci sono le riforme e poi andare avanti. È una formula che proporrò».

Questa soluzione avrebbe il pregio di far arrivare subito dei soldi al paese africano, sempre più indispensabili per evitarne il crollo e, nello stesso tempo, permetterebbe di verificare l’inizio del percorso delle riforme richieste. Si tratterebbe di un buon compromesso (su proposta italiana) che permetterebbe anche di cercare una politica più razionale e meno caotica rispetto alle partenze dei migranti dalla Tunisia. Un buon compromesso, che non toglie dal campo un ritardo da superare: rispetto alla situazione generale dell’Africa e al dramma dell’immigrazione, l’Unione europea è ancora troppo lenta nelle sue decisioni. E questo non va bene.