La Settimana Politica

Tremonti al Settimanale: “Contro la crisi della globalizzazione gli arsenali della democrazia”

Scritto il

di Claudio Brachino e Federico Momoli

Professore, nel suo ultimo libro già dal titolo punta il dito contro la globalizzazione, trent’anni con poche luci e molti danni gravi.
«Guardi, se si può scegliere un’immagine, la crisi che arriva è tipo crisi del 1929. La puoi vedere su tanti punti: sull’energia, ma anche nella recessione, nell’inflazione, in tanti segni. Tra l’altro forse non è ancora chiaro, ma si sta spostando l’asse del mondo: dall’Occidente all’Oriente, dall’Atlantico al Pacifico. Ha presente la guerra tra Sparta e Atene, la guerra del Peloponneso? È il Pacifico. Il libro è breve, ed è breve perché ho avuto 30 anni per scriverlo. E in effetti sulla globalizzazione, sui pro e i contro, ho scritto fin dal principio. Addirittura ricordo il luglio 1989: era il bicentenario della Rivoluzione francese, il Corriere mi chiese un articolo e notavo allora che si stava spezzando la catena Stato, territorio, ricchezza. Gli Stati si reggevano su questa catena. Avevano il monopolio sulla forza perché controllavano la ricchezza. La ricchezza, sia pure in parte allora minore, stava entrando nella Repubblica Internazionale del Denaro. E il Corriere titolò: una rivoluzione che svuoterà il Parlamento. Come la prima, francese, è l’invenzione del Parlamento, così questa sarà il principio dello svuotamento. Noto che il Muro cadde in novembre. Allora si era in luglio. E da allora ho scritto sempre su questo. Ho scritto “Nazioni senza ricchezza, ricchezza senza nazioni”. Il fantasma della povertà, quando dalla Cina e via via fino al mondus furiosus inizia a rompersi la globalizzazione, fino a oggi. La cifra, l’intensità delle cose che stanno arrivando con la fine della globalizzazione è drammatica. Ed è una crisi che ricorda un po’ quella del ‘29. Poi la vedi su tante cose, anche sulle bollette, ma in realtà l’abbiamo vista sulla guerra. L’abbiamo vista con la pandemia, la vediamo nella modifica delle strutture sociali, la vediamo nell’anagrafe – se si va avanti così tra vent’anni non abbiamo più le pensioni e gli ospedali. Il punto vero è questo: il mondo sta cambiando, finita la globalizzazione, si passa dal vecchio mondo pacifico e piano a un mondo diviso e contrastato. Vediamo il rapporto adesso guerra-Russia. Il vero conflitto sarà tra Occidente e Oriente. Si sposterà, si sta spostando dall’Atlantico verso l’Asia. E non è che queste cose uno le vuole, anzi. Tuttavia, forse qualcuno ricorda quando dicevo che la Cina era un problema e tutti a dire che era la soluzione. E la cosa giusta è stata fatta in un tempo sbagliato, cioè in un tempo troppo breve.
E adesso vediamo i problemi, che sono dappertutto. Lei pensi alla Germania: la Germania campava con l’energia russa e con la vendita d’auto in Cina. E adesso forse si pone qualche problema di sistema, se è vero tutto questo e io credo che sia vero. Lei confronti quello che i leader dell’Occidente hanno scritto l’anno scorso nel comunicato finale del G20 a Roma, prima di andare a gettare le monetine. È un documento di straordinario ottimismo, i leader non capivano cosa stava arrivando. Kissinger dice che sono degli irresponsabili. Io, più gentile, ho scritto “turisti della Storia”. Abbiamo classi politiche che non sono capaci di capire cosa sta succedendo. La domanda vera è questa: sono le classi della globalizzazione, possono governare il mondo che arriva, un mondo cambiato? Diceva Einstein durante la Crisi del ’29 che non puoi far gestire le crisi a quelli che le hanno causate. Questo è il punto».

A proposito di classe politica, lei fa una disquisizione interessante fra tecnica e politica. Giustamente ricorda che anche la politica deve avere una sua tecnica, quindi una capacità, una scuola. Però negli ultimi vent’anni, anche negli ultimi dieci, vedendo i nostri premier sembra che la tecnica, quella di formazione economica, abbia preso il sopravvento sulla preparazione politica in senso specifico.
«Nella Repubblica di Platone la politica è detta “téchne politiké”, la forma superiore della tecnica: devi conoscere, dice Platone, la struttura della nave, cioè lo Stato, l’equipaggio, cioè il popolo, i fondali, le correnti, i venti e le stelle. È difficile immaginare che un dramma come quello che arriva possa essere governato da persone che hanno una limitata conoscenza di alcuni dei fenomeni e non di tutti. Questo è il punto. Tipico, per esempio, è il caso di Enrico Letta: ha scritto qualche tempo fa un libro intitolato “Morire per Maastricht”. Per poco ci riuscivamo. Ha sostenuto sempre tutte le tesi fanatiche e sbagliate. Faccio un esempio: loro sono europeisti, benissimo, nel 2003 volevano dare – gli europeisti – le sanzioni, alla Germania e alla Francia che già avevano la procedura di deficit eccessivo. Premesso che dare le sanzioni alla Germania nella Storia non è una cosa che porta bene, era fuori dal Trattato perché le sanzioni le dai a uno Stato che intenzionalmente devia nei sacri parametri. Loro deviavano perché non riuscivano, perché non avevano il Pil, perché avevano spesa. Le sanzioni invece le dai a uno che intenzionalmente devia. E quindi io – allora c’era la presidenza italiana – gliele ho tolte. Secondo lei questo è essere europeisti o anti-europeisti? Secondo me l’Europa deve temere i fanatici. Le faccio un altro esempio: tutti additano l’Ungheria. Benissimo, l’Ungheria è l’Ungheria. Però come la mettiamo con l’Olanda? È deviante dallo schema europeo l’Ungheria più dell’Olanda? Bella domanda. Oppure, sempre domanda per Letta, che è il genio dell’Europa: nel gennaio di quest’anno la Corte di Giustizia condanna la Polonia, definendola “fuori dallo Stato di diritto”. Subito dopo i fanatici vogliono mettere le sanzioni alla Polonia. Dieci giorni dopo la Polonia accoglie i profughi dall’Ungheria in modo eroico e fraterno. Passa di colpo dalla polvere all’altare. E con le sanzioni come la mettiamo? La domanda è: da che parte sta l’Europa?».

Perché l’Europa non riesce a a trovare un accordo sul tetto al prezzo del gas oppure a limitare i danni che può fare in termini speculativi la Borsa di Amsterdam?
«L’Europa ha settant’anni, quindi è giovane. L’America ha due secoli con in mezzo una guerra terribile. L’Europa è passata attraverso molte fasi. Certamente una fase fondamentale come il Trattato di Roma, una fase burocratica, oscura, come quella che arriva con la globalizzazione. Io volevo fare la banconota da un euro: secondo lei era contro l’Europa o a favore dell’Europa? Come il dollaro. E invece prevalse l’idea delle monetine. Ma a parte quello, l’Europa ha avuto dei passaggi da ultimo molto importanti. Pandemia: i vaccini non li ha comprati un improbabile generale, ma li ha comprati l’Europa, che ha fatto una straordinaria operazione di interesse per il continente. E poi il Recovery Plan è finanziato sugli eurobond. Chi li ha inventati? Il governo italiano nel 2003. Le idee giuste camminano in salita, ma camminano, e alla fine l’Europa è passata dalla parte giusta. E adesso che parla di difesa e di sicurezza comuni è la parte giusta».

Lei  nella parte finale del libro dice che come salvezza abbiamo degli arsenali, gli arsenali della democrazia. Sono – citando Foucault – come una “scatola degli attrezzi” della democrazia?
«Ho l’impressione, e l’abbiamo tutti, che l’età della globalizzazione è finita. E lo vediamo per tanti segni. Confrontiamo la realtà con quella che ci hanno raccontato l’anno scorso al G20. Sentiamo quello che dice il Papa che, come dire, qualche visione ce l’ha. Ora la domanda è: puoi continuare in un mondo così cambiato con lo stesso palinsesto, con lo stesso software politico che ha governato questi ultimi 30 anni? O devi cambiarlo? Quello è un software inventato per un mondo che è finito. Però, naturalmente Letta continua con il vecchio software, perché non ha la capacità di intendere la realtà, ma la realtà è diversa. Allora che tipo di software politico possiamo e secondo me dobbiamo usare per tenere in piedi la democrazia? Uno come Letta sa solo offendere il prossimo, non fa proposte, non ha idee: fa solo la replica, la ripetizione. Ebbene, l’arsenale della democrazia: primo, la carta atlantica dice che ogni Stato ha diritto a reggersi in base alla sua libertà. Quindi no all’export di democrazia, come invece i lettisti  hanno fatto e continuano a fare disastrando i popoli. Secondo, il trattato di Bretton Woods fu fatto durante la guerra ed era l’idea comunque di uno schema di regole economiche per i rapporti internazionali. Finito il mondo globale, il mondo sarà comunque internazionale e lì servono regole economiche, o regole che mantengano dei principi. Il governo italiano propose nel 2009 il Global Legal Standard, cioè di avere un sistema di regole. Non è sufficiente che il prezzo sia giusto, è necessario anche che il modo di produrre sia giusto. In quella bozza c’era anche rispetto di regole ambientali e igieniche. Era il 2009. Le dice niente sul Covid? Poi, passare dal free al fair trade. Si oppose il mondo di Draghi e di Letta, che dicevano: bastano le regole della finanza. E siamo arrivati ad adesso. Dopo l’austerità, la liquidità che ci sta devastando perché è troppa, con l’inflazione e la recessione. Poi Ventotene, cioè ricostruire un’idea di Europa. Ventotene non è Bruxelles. O Bruxelles non è Ventotene. E poi – questa è secondo me la parte più importante, ma anche più difficile – il messaggio del presidente Usa Eisenhower, che nel messaggio di commiato avverte gli americani sui rischi per la democrazia, rischi provenienti dal complesso militare industriale. Ora i giganti della rete insistono sulla democrazia ma costituiscono un pericolo per la democrazia. Questo è un grande punto politico».

Economia della realtà, non della finanza. Questa intervista la pubblicheremo nel web e anche sulla carta per un Settimanale che nasce per rivolgersi a un mondo molto citato e anche abbastanza dimenticato. E’ il mondo delle Pmi, che insieme alle micro imprese costituiscono il 98% delle imprese italiane. Ora si vota, nascerà il nuovo governo. Questo mondo di che cosa ha bisogno, secondo lei?
«Guardi, io direi che tutti i grandi passaggi della storia sono passaggi legali, legislativi… Non c’è bisogno di regole, sono già troppe. Il governo Draghi in 17 mesi ha creato 2,6 chilometri lineari di nuove regole, pari a una superficie di 25 campi da calcio. Ecco, un aiuto che puoi dare è piantarla di scrivere norme non solo inutili ma negative, perché paralizzano, come nel Medioevo».

Si parla tanto dell’agenda Draghi. Io dico sempre che un’agenda senza il proprietario dell’agenda non ha alcun senso politico, visto che il governo è stato fatto cadere. L’agenda Tremonti quale sarebbe invece per salvare un po’ la nostra economia?
«È una domanda molto poco adatta. Io ho cercato di dire cosa serve. L’agenda Draghi arriva su e si paragona a Cavour e De Gasperi, Cavour per le riforme, De Gasperi per l’unità nazionale. De Gasperi fa l’opposto dell’unità nazionale perché sbatte fuori dal governo Togliatti. E poi le grandi riforme: io, la riforma fiscale non l’ho vista, la riforma previdenziale non l’ho vista, la riforma della giustizia francamente mi sembra abbastanza inconsistente. Quindi siamo in attesa delle riforme fatte da questi grandi…».

Le auguro  in bocca al lupo per la sua campagna elettorale e in bocca al lupo a noi italiani.
«Gli ottimisti ci hanno portato al disastro. Gli ottimisti di Roma ancora fino a pochi mesi fa erano a buttare le monetine nella Fontana di Trevi. Sono riusciti anche molto bene: sono eleganti, sono ottimisti, sorridono, hanno scritto un testo molto ottimista…».

Qui la video intervista: