La Settimana Politica

UE: stop alla dipendenza tecnologica dalla Cina

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A cura di Lorenzo Consoli

Al Consiglio europeo di Bruxelles del 20 e 21 ottobre hanno avuto risalto le conclusioni sulle risposte da dare alla crisi dei prezzi dell’energia, ma c’era un altro punto importante in agenda, appena accennato in una riga del testo finale. Il punto, che ha richiesto oltre tre ore di discussioni tra i leader, a porte chiuse e cellulari spenti, è quello delle relazioni dell’Ue con la Cina, che hanno subito un notevole deterioramento negli ultimi anni e che ormai si configurano più come un rischio strategico che non come opportunità di sviluppo commerciale ed economico.

Il rischio, paventato da diversi leader a cominciare dal premier italiano uscente Mario Draghi e dal presidente francese Emmanuel Macron, è quello di riprodurre con la Cina gli stessi errori fatti con la Russia. Mentre la Ue sta cercando con difficoltà, dopo l’invasione dell’Ucraina, di sbarazzarsi al più presto della dipendenza dall’energia russa, è allarmante la sua dipendenza per materie prime e tecnologie da una potenza economica ben più importante, che non solo non condivide i valori europei, ma si pone come punto di riferimento globale alternativo a quei valori.

Non è ancora arrivato il momento di un vero e proprio cambio di paradigma, vale ancora il “concetto strategico” stabilito dall’Ue nel marzo 2019, che vede la Cina allo stesso tempo come un partner per la cooperazione e i negoziati nelle grandi sfide globali (cambiamento climatico, salute, sicurezza alimentare, crisi umanitarie), un competitor economico e commerciale, ma anche un rivale sistemico. Si percepisce chiaramente, tuttavia, uno spostamento dell’accento sempre più verso la rivalità sistemica, come conferma un “non paper” distribuito agli Stati membri dall’Eeas, il servizio diplomatico Ue, alla vigilia del vertice di Bruxelles.

I leader dell’Ue, con la notevole eccezione del cancelliere tedesco Olaf Scholz, hanno realizzato che non si può più tenere la geopolitica fuori dalle relazioni commerciali. Il deterioramento delle relazioni con il gigante asiatico è iniziato subito dopo la firma, che doveva essere storica, dell’Accordo generale sugli investimenti firmato da Ue e Cina nel dicembre 2020, sotto la spinta della Germania al termine della sua presidenza di turno semestrale del Consiglio Ue.

Quell’accordo è oggi congelato, con le ratifiche bloccate a causa degli sviluppi successivi: la rappresaglia economica contro la Lituania per aver intensificato i rapporti diplomatici con Taiwan, la repressione brutale all’interno della Cina, in particolare a Shanghai, le sanzioni di Pechino contro eurodeputati ed entità europee che avevano denunciato le detenzioni arbitrarie e gli abusi subiti dalla minoranza uigura nello Xinjiang, e poi la proclamata “amicizia illimitata” con Mosca, subito tradotta nel sostegno alla Russia per l’invasione dell’Ucraina.

Il cancelliere Scholz, che visiterà la Cina prossimamente con una folta delegazione di rappresentanti dell’industria tedesca (si veda il servizio nella pagina successiva), va controcorrente. Non ha esitato a scontrarsi con sette ministri del suo governo che volevano bloccare la vendita di un terminal del porto di Amburgo (città di cui è stato sindaco) alla cinese Cosco.

La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha rilevato alla fine della discussione al vertice Ue che «la Cina sta continuando la sua missione per stabilire il suo dominio nell’Asia orientale e la sua influenza a livello globale».

«Abbiamo imparato la lezione sull’eccessiva dipendenza dai combustibili fossili dalla Russia e su quanto sia difficile, ma necessario, sbarazzarsi di questa dipendenza. Nel caso della Cina, il rischio è quello della dipendenza dalle tecnologie e dalle materie prime.

Pertanto, le priorità qui sono rafforzare le nostre capacità e, naturalmente, anche diversificare gli approvvigionamenti verso fornitori affidabili e fidati» ha detto ancora la presidente della Commissione.

In questo contesto, von der Leyen ha menzionato le principali iniziative della Commissione. Innanzi tutto, il “Chips Act” sui semiconduttori e l’annunciato “Critical Raw Materials Act”. «Sono la risposta strategica alle nostre dipendenze, ma – ha osservato la presidente della Commissione – lo sono anche gli accordi di libero scambio e le partnership sulle materie prime a cui stiamo lavorando con altri Paesi, in altre parole con partner affidabili».

Poi c’è lo ‘screening’ degli investimenti diretti esteri, già in funzione dal 2020, e in primavera entreranno in vigore altre due misure: lo “Strumento per gli appalti internazionali” e il “Regolamento sui sussidi esteri”, che secondo von der Leyen forniranno «una nuova base da utilizzare per avvicinarci alla Cina». Infine c’è lo “Strumento anti coercizione”, proposto l’8 dicembre 2021 ma non ancora entrato in vigore.