Le opinioni

Autonomie: di più a chi ha tanto e ancor meno a chi ha poco

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di Luigi De Magistris (Politico e scrittore)

Una premessa. Chi vi scrive è un autonomista convinto. L’autonomia è una qualità sia nella vita privata sia pubblica, quindi anche nelle istituzioni. Sono stato magistrato autonomo da tutti i poteri e dalle correnti. Sindaco autonomo fuori dai grandi partiti al governo con una coalizione civica. Sostenitore dell’autonomia nei rapporti tra pubblico e privato. Autonomia non vuol dire isolamento, anzi. Presuppone forza, collaborazione, spirito di squadra, indipendenza.

Venendo all’autonomia politica ed istituzionale, perché non dare molta più autonomia, economica, finanziaria, amministrativa, ai sindaci? Pensiamo alle città metropolitane e a tutti i comuni, vera espressione dei territori, caratterizzati da una forte legittimazione democratica e popolare, con una legge elettorale che funziona.

È nei comuni che si inverte la rotta, soprattutto se non vengono lasciati senza un euro, sull’efficienza dei servizi e il miglioramento della qualità della vita. Invece gli apparati politici, specie delle regioni più ricche, spingono per una forte autonomia regionale anche differenziata.

Più potere alle regioni, luogo amministrativo e politico che dovrebbe essere di programmazione e non di gestione, in cui più forte è l’oppressione burocratica, più evidente la lentezza dei processi decisionali, più facili le degenerazioni della politica, più frequenti i casi di collusione tra politica e prenditori, più diffuse le gravi infiltrazioni di fenomeni di corruzione e mafie, per non parlare di una gestione spesso scellerata del denaro pubblico.

I dati statistici sono chiari riguardo il fiume di denaro pubblico speso tardi e male, non di rado restituito o finito a consolidare il rapporto con le mafie dei colletti bianchi. I sindaci e i territori saranno ancora di più al guinzaglio dei detentori del centralismo regionale. Altro che autonomie.

Regionalismo differenziato vuol dire poi dare di più a chi ha di più e dare di meno a chi ha di meno.

Sia in termini di denaro sia di poteri normativi. Ad esempio, più asili nido o ospedali nelle regioni in cui ve ne sono di più e meno dove ve ne sono di meno. Disuniamo di più l’Italia in un momento  drammatico e accresciamo ancora di più le discriminazioni territoriali.

Attenzione poi ai poteri assoluti in alcuni settori quali la sanità e l’istruzione. Si è visto con la pandemia, al nord come al sud, cosa ha significato la regionalizzazione della sanità e della prevenzione e cura della salute come bene comune. Altro che regionalismo, qui sarebbe opportuno realizzare un servizio sanitario nazionale pubblico, dove la politica mette in campo norme, risorse e visione e la programmazione e la gestione siano affidate a chi conosce e pratica la sanità. Sarebbe ora di dire basta all’occupazione politica della sanità e della salute, che produce anche commissariamenti indegni e infiltrazioni criminali.

Vogliamo poi, in un Paese dove si cerca spesso di cancellare la memoria storica, realizzare un’istruzione pubblica differenziata nelle varie aree geografiche? Mi pare inaccettabile. La scuola significa pari opportunità di accesso a tutte e tutti e luogo in cui si consolida la visione democratica di un Paese unito, pur nelle sue differenze.

La Costituzione favorisce le autonomie ma nell’ambito di un’Italia una e indivisibile. La modifica del titolo V della Costituzione operata da un governo e da una maggioranza di centro-sinistra è stata una pessima riforma che piace tanto anche al centro destra che ora vuole attuarla.

Per questo temo che, se non prevarrà il buon senso verso le vere priorità, vi sarà un forte scontro politico, istituzionale e sociale; una parte del Paese non accetterà un assetto normativo, economico e geopolitico che metta ancor più in ginocchio chi è già piegato da stagioni profonde di disuguaglianze e ingiustizie.