Le opinioni

Settimana corta ma di qualità

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di Cesare Damiano
(Ex ministro del Lavoro – Presidente Associazione Lavoro & Welfare)

«Se otto ore vi sembran poche…» era un canto delle origini del movimento operaio. Nato nel 1906 quando il deputato di Vercelli Modesto Cugnolio, noto come “avvocato dei contadini”, presentò alle Camere il progetto di legge per ridurre a 8 ore la giornata lavorativa delle mondine, che era di 12. Storico fu l’accordo siglato dalla Fiom nel 1919 sulle 48 ore settimanali. Più avanti nel tempo, con il contratto firmato nei primi giorni del gennaio 1970, i metalmeccanici italiani conquistarono il “sabato libero”, cioè la settimana di 40 ore, che diventò successivamente regola generale. Verso la fine del secolo scorso è apparsa anche la cometa delle 35 ore, rapidamente scomparsa a fronte dei mutamenti dell’organizzazione del lavoro e della struttura d’impresa: nel primo caso con l’irruzione della flessibilità; nel secondo con le esternalizzazioni e le delocalizzazioni produttive spinte da una globalizzazione senza regole.

Abbiamo voluto ripercorrere, per sommi capi, la storia di queste importanti conquiste sindacali al fine di evidenziare la necessità di affrontare l’argomento riduzione dell’orario di lavoro in termini totalmente nuovi. Superata la fase del modello ford-taylorista, a struttura rigida e gerarchica, caratterizzato da lunghe produzioni di serie e dalla catena di montaggio, oggi le imprese tendono a strutturarsi con modalità flessibili più adatte a far fronte alla volubilità del mercato. Ma non è l’unico cambiamento con il quale dobbiamo fare i conti. Su un altro versante, quello del mercato del lavoro, a partire dagli anni 90 sono affiorati, in una sorta di sequenza progressiva, prima la precarietà e poi la pervasività del lavoro povero e sottopagato. Pandemia, guerra, reshoring, calo demografico, mancato funzionamento delle politiche attive, rifiuto del lavoro, hanno definitivamente destrutturato gli scenari precedenti, in una sorta di ping pong nel quale non è facile orientarsi.

In questo nuovo quadro si colloca il tema della riduzione dell’orario di lavoro del terzo millennio. Mentre nel secolo scorso la riduzione dell’orario era concepita in modo meccanico e perlopiù collegata al rapporto tra innovazione tecnologica/crescita della produttività/diminuzione della occupazione, oggi il tema rende più importante una nuova variabile della quale si discute, a livello più teorico che contrattuale, che è quella della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Non si tratta, in questo caso, della semplice ricerca della compatibilità tra due lavori, tipicamente a carico delle donne (attività professionale e lavoro familiare e di cura), ma del farsi strada di una nuova filosofia di vita che non individua più nel solo lavoro l’asse della propria esistenza. Questo vale soprattutto per i giovani. Paradossalmente, mentre le generazioni che si affacciavano al lavoro a partire dagli anni 60 del XX Secolo si sentivano dire, al termine del colloquio per l’assunzione, «le farò sapere…», oggi a pronunciare quella frase è sempre più spesso l’aspirante lavoratore. Del resto, la sperimentazione del lavoro agile, esploso al tempo della pandemia, ci ha dimostrato che l’alto gradimento registrato da parte dei lavoratori dipende dai maggiori margini di libertà che vengono acquisiti nel lavoro e dal lavoro grazie a un nuovo baricentro concettuale che si sposta dall’intensità dell’ora lavorata alla realizzazione autonoma dell’obiettivo da conseguire.

In questo nuovo contesto si colloca la settimana lavorativa di quattro giorni, variamente sperimentata in alcuni Paesi, perlopiù attraverso accordi di carattere aziendale. In Islanda orari e settimane brevi sono diffusi da tempo. Nel Regno Unito si segnala l’esperimento, condotto in 61 aziende, con il progetto pilota della campagna 4 Day Week. Altri esperimenti si sono svolti negli Stati Uniti e in Irlanda e, quest’anno, saranno condotti in Belgio, Canada, Australia e Nuova Zelanda. In Italia, Intesa Sanpaolo propone, su base volontaria, un articolato modello che prevede anche i quattro giorni lavorativi. Le soluzioni più avanzate riducono l’orario a parità di salario fornendo una risposta al tema dell’inflazione galoppante, e cogliendo, attraverso la riduzione delle giornate di attività, il nesso tra lavoro e libertà, tra lavoro e senso della vita, tema che si sta facendo strada tra le generazioni più giovani. Si tratta di una scelta lungimirante che risponde anche alla domanda di qualità nel lavoro che, se collegata a una più efficace relazione tra domanda e offerta di lavoro, potrebbe fornire una risposta vincente al fenomeno della great resignation, le grandi dimissioni, che si è manifestato, a partire dal 2021, negli Stati Uniti e che si sta affermando anche in Italia.

Ora, si tratta di capire come questo tema potrà divenire materia di contrattazione sia nazionale che aziendale. Il modo in cui esso, da fenomeno sociale, potrà assumere concretezza nel confronto tra le organizzazioni dei lavoratori e quelle delle imprese diventerà essenziale.