Le opinioni

Essere o non essere sempre su LinkedIn

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di Antonio Dini (Giornalista e scrittore)

LinkedIn è diventato il social di chi lavora o vorrebbe trovare una nuova posizione. Ogni giorno decine di migliaia di nuovi profili vengono aggiunti e centinaia di migliaia vengono modificati. Senza contare chi ci naviga in cerca di collegamenti, oppure per ritrovare vecchi colleghi o compagni di studio. E infine, per chi condivide articoli, pensieri, magari qualche stellina o cuoricino sotto i post di questo o quello. È un grande contenitore di storie e aspirazioni che Microsoft – da un po’ di tempo la proprietaria dell’azienda originariamente fondata nel 2002 da Reid Hoffman e da un gruppo di ex dipendenti di PayPal – sta trasformando sempre più in un social del business. Il posto dove essere e farsi vedere. Dove condividere tutti i momenti importanti, segnare la propria evoluzione professionale, dare anima al proprio curriculum lavorativo.

È una bella opportunità che viene offerta dalla tecnologia e che fino a venti anni fa non esisteva, ma come tutte le cose, va presa con un po’ di intelligenza. L’ansia di comparire, di pimpare il proprio profilo, di farsi vedere sempre pronti a condividere cose smart per i propri capi o magari a mettere commenti abbastanza inutili ma di approvazione incondizionata ai post di chi ci sta sopra, suona un po’ eccessiva se non addirittura falsa.

Certo, succede dall’epoca delle caverne, quando Fred e Barney andavano a lavorare in groppa a un dinosauro nell’ufficio di Bedrock, lasciando a casa le casalinghe disperate Wilma e Betty (ricordate la battuta più famosa degli Antenati? «Passami la clava, Wilma!»). I colleghi di ufficio pronti a fare sempre la battuta giusta per compiacere il capo, per far vedere che sono pronti, bravi e disponibili. Una tendenza umana che comincia alle scuole primarie con il “cocco della maestra” e non si ferma più, a quanto pare.

Più che legittimo, per carità (sta all’intelligenza del capo scegliere se fidarsi degli “yes man” o no) però su LinkedIn, che è un social online, assume una caratteristica diversa e molto più critica. I social, anche quelli professionali, amplificano e rinforzano gli stati d’animo, cementano le inclinazioni e le predisposizioni. In particolare, il bisogno di documentare con toni sopra le righe ogni singola fase della propria esistenza professionale.

Per capire perché non ci fa bene, né a noi come singoli né come gruppo, viene in aiuto una domanda e una foto scattata poche settimane fa negli Stati Uniti. È un’immagine diventata abbastanza virale che viene da un campo di basket.

La domanda è: se LeBron James batte il record di punti in carriera dell’NBA e nessuno riprende il momento con la fotocamera, è davvero successo? In realtà non potremo mai porci questa domanda filosofica, perché il 7 febbraio a Los Angeles erano presenti 18.997 tifosi e circa 18.996 di loro hanno ripreso il momento storico con il cellulare. Ce n’è solo uno che non ha scattato la foto al numero sei dei Los Angeles Lakers mentre segnava il canestro contro l’Oklahoma City Thunder che lo ha portato a superare il record di Michael Jordan. Perché era impegnato a guardare la scena e a godersi il momento.

Cosa ha più senso, secondo voi? Fare la foto o godersi il momento? Se non hai una foto o un video di quel canestro non puoi rivivere quell’attimo magico della tua vita? Si entra nella storia perché si partecipa a un evento o perché ci si distrae e si guarda lo schermo di un telefonino, preoccupati di passare la palla a chi non c’era?

La domanda, può sembrare strano, ma vale anche per LinkedIn. Cos’è meglio? Essere sul social professionale con un curriculum aggiornato fino a stamattina, mille post condivisi senza averli mai letti, diecimila like e commenti intelligenti ai post dei nostri capi, magari endorsement celebrativi in un inglese maccheronico a decine di colleghi che a malapena sopportiamo, oppure un bel lavoro fatto ogni giorno alla scrivania, con un team compatto e motivato, in cui il talento di ognuno sia aiutato a esprimersi al meglio?

Per fare l’immagine storica di LeBron ci sono i fotografi professionisti, secondo me vale la pena godersi la scena ed esultare al momento giusto. Ma questa è solo un’opinione, ovviamente.