Le opinioni

Mondiali Qatar: gli sponsor pagano ma non lo dicono

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di Davide Ippolito
(Esperto di reputazione aziendale e direttore di Reputation Review)

Di certo avrete sentito parlare di Green Washing, ovvero la strategia di comunicazione perseguita da aziende, istituzioni ed enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo. Se ne è parlato tanto, soprattutto in termini di reputazione aziendale e sostenibilità. Con i mondiali in Qatar possiamo invece coniare un nuovo termine, che si rifà però ad antiche tradizioni, ovvero lo “Sport Washing”.

L’Impero Romano, per esempio, era esperto di panem et circenses, ovvero “pane e giochi”. Gli spaventosi spettacoli con i gladiatori del Colosseo erano spesso accompagnati dall’offerta gratuita di grano o pane al pubblico nel tentativo di consentire ai governanti di ottenere il consenso politico dalla popolazione.

Millenni dopo, Adolf Hitler tentò di fare la stessa cosa ospitando le Olimpiadi estive del 1936 a Berlino. Il Terzo Reich non badò a spese per rendere quei giochi indimenticabili, sperando che la comunità internazionale avrebbe così ignorato le leggi antiebraiche. Il regime nazista gettò nella mischia persino alcuni atleti ebrei per far sembrare l’evento più appetibile.

I Giochi olimpici di Berlino non solo costarono 10 volte di più di qualsiasi altra olimpiade precedente, ma anche più di tutte le olimpiadi messe insieme. (Nota: i mondiali in Qatar sono costati 20 volte più di qualsiasi altro mondiale e più di tutti i mondiali messi insieme.)

Anche allora ci furono tante proteste contro i giochi e diverse richieste di boicottaggio delle Olimpiadi per impedire che la portata del soft power dei nazisti crescesse. Quelle proteste non ebbero successo. Le federazioni degli atleti e le nazioni erano convinte che andando ai giochi avrebbero potuto mettere in risalto le malefatte del regime hitleriano. Qualcuno ne parlò, ma la maggior parte dei giornalisti era più interessata a riferire sulle varie imprese sportive.

Questa cosa è emersa tante volte nel corso della storia, le Olimpiadi di Pechino, i Giochi invernali di Sochi, la Coppa del Mondo 2018 in Russia o la finale organizzata dalla UEFA in Azerbaijan nel 2019. Ci sono stati tanti boicottaggi, molta disapprovazione ma alla fine gli eventi sono comunque proseguiti senza intoppi. The show must go on. Lo spettacolo deve continuare.

Quello che è cambiato negli ultimi anni è però il comportamento delle aziende rispetto a queste tematiche. La reputazione è stata messa al primo posto proprio dalla finanza e le grandi aziende, dal 2019 in particolare, prestano ancora più attenzione ad atteggiamenti sostenibili.

È proprio per questo che negli ultimi anni c’è stata grande tribolazione tra gli sponsor della manifestazione. La domanda che ci si è posti è: la condanna internazionale del Qatar può influenzare la Reputazione dei marchi che hanno sponsorizzato l’evento nel lungo termine?

Temendo il contraccolpo internazionale, la cattiva stampa e le potenziali perdite pubblicitarie, la FIFA ha inviato una lettera a tutte le 32 squadre partecipanti al torneo, esortandole a “concentrarsi sul calcio” e, nonostante questo, a pochi giorni dall’inizio della competizione il calciatore inglese Harry Kane e altri nove capitani europei, avevano provato a pianificare una protesta, ovvero indossare fasce da capitano color arcobaleno per promuovere diversità e inclusione. Mossa rapidamente intercettata e bocciata dalla FIFA, che ha introdotto penalità per i giocatori e i team.

Fa riflettere che molti sponsor della Coppa del Mondo del Qatar, 27 totali con una spesa media di 63 milioni di dollari, non stiano facendo nulla per pubblicizzare la partnership, un po’ come già visto in Russia. Non so se avete fatto caso che fino al 2014 era un vanto per le aziende essere SPONSOR UFFICIALI FIFA WORLD CUP. Manifesti, pubblicità, gadget. Oggi è tutto molto in sordina. Addirittura lo sponsor della Danimarca, il marchio di moda Hummel,  ha “attenuato” il logo sulla divisa della nazionale danese in segno di protesta, dichiarando in una nota ufficiale di non voler “essere visibili durante un torneo che è costato la vita a migliaia di persone”.

Proviamo quindi a rispondere con i dati alla domanda iniziale: la Coppa del Mondo in Qatar danneggerà i marchi coinvolti e la reputazione della FIFA? Se guardiamo ai numeri, ai bilanci, ai consumi e alle conversazioni online e offline, nessun brand sembra essere minimamente coinvolto per ora. La scelta di pubblicizzare poco il proprio coinvolgimento e focalizzarsi sulle gesta sportive ripaga comunque il marchio nel lungo termine.

La FIFA invece, travolta da scandali, ha una reputazione in discesa libera: dal 2014 a oggi è scesa di quasi il 50% con il risultato di generare sempre meno interesse nei giovani per il mondo del calcio. In Europa il 27% dei millennials dice testualmente “di non avere alcun interesse per il calcio”, il 13% addirittura di odiarlo e il 29% di aver smesso di seguirlo “perché ho di meglio da fare” (fonte: ECA).

Altri sport come l’NBA, il Football americano e la Formula1 hanno già subito questo processo di ristrutturazione. Per quanto riguarda invece noi Italiani… Beh, potremo sempre dire di non aver partecipato agli ultimi due mondiali come forma di protesta!