Le opinioni

Tasse e Repubblica, il senso profondo delle parole di Mattarella

Scritto il

di Giuseppe Pizzonia
(Docente di diritto tributario)

Forse per ingenuità, o per eccesso di zelo, se non per sbrigativa superficialità, alcune testate, illustrando il discorso presidenziale di fine anno, hanno titolato più o meno così: “La repubblica è di chi paga le tasse”. Sottintendendo, seguite da qualche tuttologo televisivo, che invece chi non paga le imposte (in particolare, sul reddito) rimane fuori dal consesso civile e repubblicano.

Ma il Presidente non ha affatto detto una cosa del genere. Sarebbe stata infatti una affermazione tutt’altro che moderna o attuale, che avrebbe riportato l’Italia indietro di oltre cent’anni, all’epoca del voto per censo(parzialmente) soppresso in Italia nel 1912. E sì, fino ai primi anni del secolo scorso potevano votare (e dunque essere cittadini a pieno titolo del Regno), solo coloro che raggiungevano un dato livello di reddito.

Insomma, un capovolgimento, da no taxation without representation, a no representation without taxation.

La logica, a suo modo, era ferrea: se non paghi le tasse, non puoi concorrere, con il voto, alle decisioni su spese ed entrate pubbliche. Ma era una logica tutt’altro che democratica, all’opposto del suffragio universale che in Italia divenne pieno ed esteso anche alle donne, dopo un accidentato percorso, solo nel 1946, con il voto per la repubblica e la Costituente.

Senza contare che oltre il 40% degli italiani non paga l’Irpef: sarebbero tutti fuori dal consesso civile?

Ma allora, cosa si evince dalle parole del Presidente? Qualcosa di assai più vero e profondo: “La Repubblica siamo tutti noi. Insieme… La Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune”; così com’è nel sacrificio di chi indossa una divisa, nella fatica di chi lavora e nell’ansia di chi cerca il lavoro, nell’impegno di chi studia, nella solidarietà e nell’impresa.

La Repubblica è di tutti, e tutti – ciascuno nel proprio ambito – possono e devono contribuire al suo sviluppo. E il contributo di chi, essendovi tenuto per legge, paga i tributi è indispensabile fondamento dello Stato; necessario per finanziare le spese pubbliche e per attuare le scelte politiche.

Non può esistere uno Stato, se manca il potere e l’autorità di imporre i tributi, e se non c’è (democratica) adesione dei cittadini all’assolvimento di quest’onere. Senza il potere fiscale e il consenso dei cittadini, entrambi indispensabili, qualunque Stato sarebbe destinato alla dissoluzione.

E l’evasione fiscale? È una condotta illecita. Esiste ed è diffusa, ovunque, come esistono e sono diffusi tanti illeciti, gravi e meno gravi. Compito dello Stato è anche quello di prevenire e perseguire gli illeciti, con leggi semplici e adeguate e con un’azione amministrativa efficiente ed efficace. Ma va ricordato che i sistemi fiscali sono fatti in modo che non si possa mai del tutto sfuggire ai tributi.

Si chiamano sistemi proprio per questo. Anche il più incallito evasore, a volte senza accorgersene, paga tributi e balzelli vari, sui consumi per esempio. Suo malgrado, contribuisce anche lui al bilancio pubblico. Del resto, è sempre valido l’aforisma di Benjamin Franklin: nella vita, di inevitabile ci sono solo le tasse e la morte.