Nel Mondo delle Pmi

Così le mode cambiano il mercato del vino

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di Riccardo Lagorio

Le mode e le abitudini influiscono più di ogni altra cosa sulle scelte del vino da portare in tavola. Basti pensare che fino a pochi anni fa la preferenza più comune dei consumatori era a favore dei vini rossi potenti, strutturati, concentrati e densi. Le vendite sono via via scivolate verso i vini, bianchi e rossi, con acidità più accentuata, privi di passaggio in legno, precedentemente richiesto per arrotondare le asperità e dare la percezione di invecchiamento. L’offerta di vini italiani ottenuti in territori freschi, dal basso grado alcolico e di pronta beva non si è fatta attendere.

Questo fenomeno è andato di pari passo con l’esplodere dei vini biodinamici e naturali. C’è peraltro poca chiarezza tra i consumatori (e produttori) delle reali distinzioni tra vini biologici, naturali e biodinamici. Sommariamente si può affermare che questa tipologia prevede un uso limitato di additivi enologici di origine sintetica affiancati, nel caso dei vini biodinamici, da pratiche in vigna e in cantina che si rifanno a sistemi pseudoscientifici elaborati da Rudolf Steiner. Talvolta però, dietro il pretesto di ottenere etichette naturali, vengono proposti sul mercato vini da profumi e gusti quantomeno sghembi che il palato dei giovani accetta in nome del rispetto dell’ambiente e della sostenibilità.

A tale proposito bisogna registrare le numerose manifestazioni enologiche che hanno come protagonisti questi vini (Van, Vignaioli Artigiani Naturali, è in programma in concomitanza di Vinitaly a San Bonifacio presso Villa Bongiovanni). Spesso sinonimo di prodotti naturali sono i vini arancione, ottenuti grazie a lunghe soste delle bucce sul mosto e fermentazione spontanea (ovvero senza aggiunta di lieviti che stimolano la trasformazione dello zucchero in alcol). Anche in questo caso si ottengono spesso vini dai gusti ai quali il consumatore medio fatica ad abituarsi. L’imitazione del metodo di affinamento di questi vini in terracotta secondo l’usanza dei popoli caucasici ha fatto proseliti e molti produttori hanno inserito nei loro listini i vini affinati in anfora. Cosa che rispetterebbe il gusto originario del vino e lo manterrebbe in condizioni ideali.

Sull’onda del Prosecco e dello spritz, spopolano poi gli aperitivi con bollicine a base di TrentoDOC, Franciacorta e Alta Langa che si impongono in ogni momento della giornata. Ma un’interessante tendenza di lungo periodo è che, secondo le analisi dell’Osservatorio dell’Unione Italiani Vini, il mercato negli ultimi 12 anni si sta spostando verso i vini con prezzo oltre i 9 euro per bottiglia, quindi di fascia medio alta. A farne le spese il segmento dei vini a basso prezzo, passati dal 19% al 6% del mercato. Sembra invece non cedere alle mode il consumo di Champagne, che da secoli è considerato il vino delle classi sociali più abbienti e delle occasioni più eleganti e raffinate. Chi ha voluto andare oltre si è messo persino ad affinare lo spumante sott’acqua, tanto nel mare sardo quanto nella laguna di Venezia, con la giustificazione della particolare combinazione tra pressione, temperatura e assenza di luce che migliorerebbe il risultato finale.

L’unica tendenza, o moda che dir si voglia, che pare essere in linea con la storia dell’agricoltura italiana e che meriterebbe di essere più diffusa è il crescente interesse per i vini locali, da uve autoctone, delle piccole cantine. A ben guardare, dal lato dell’offerta, questo è anche lo strumento ideale per proporre vini davvero unici, al riparo dalla concorrenza estera, visto il patrimonio ampelografico di cui l’Italia dispone. Sul versante della domanda il contatto diretto tra produttore e consumatore è infine una maniera affascinante per imparare a conoscere realmente il prodotto e lasciarsi ispirare dalle emozioni che il vignaiolo ha testé trasmesso. Perché non investire in campagne promozionali pubbliche per favorire di questo meccanismo?