Scenari

Alessia Cappello: “Patto di Milano, modello per il Paese”

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Il Patto per il lavoro è stato firmato lo scorso aprile, oltre che dal comune di Milano, dall’allora ministro del lavoro Orlando, dai sindacati confederali CGIL, CISL e UIL, dalla Camera di Commercio, da Confcommercio, da Assolombarda e dalla Città Metropolitana. Come funziona esattamente?

L’idea dietro questo patto è esattamente questa: c’è un modo per fare politiche attive del lavoro in questo paese? Si è detto: prendiamo tutti i soggetti che hanno a che fare con il mercato del lavoro, li facciamo sedere intorno a un tavolo, sottoscrivere questo documento, concordare sulle idee e sulle azioni.

Ci sono stati 140 incontri per metterci d’accordo sulle azioni da fare, dopodiché proviamo a sperimentare delle vere politiche attive. Quindi, oltre a quelli che sono stati citati – il mondo delle imprese, delle istituzioni, dei sindacati – hanno sottoscritto e sono stati coinvolti in questo patto anche il mondo della formazione, ad esempio le università, e il terzo settore, che molto spesso è la prima interfaccia con il cittadino che cerca lavoro.

Poi il mondo degli artigiani. Il risultato è un documento di oltre 70 azioni che non vuole essere semplicemente carta ma vuole mettere in atto iniziative vere e proprie. Non è un documento fermo, è dinamico. Vuol dire che se un’azione non funziona, si elimina. Se serve qualche altra cosa, perché ci rendiamo conto che intanto il mondo è cambiato e c’è bisogno d’altro, si aggiungono azioni ed interlocutori. Queste 70 azioni sono divise in quattro:

  • Milano città della formazione, ovvero: cosa dobbiamo fare per l’orientamento?
  • Milano città delle opportunità: a cosa serve lo smart working? È o non è un’opportunità per il mondo del lavoro?
  • Milano città del rilancio, perché c’è anche una grossa fetta di popolazione che è più in difficoltà per varie ragioni, da una fragilità di partenza, alla disabilità fino alla perdita del lavoro. Dunque, come reinserirle nel contesto lavorativo e rilanciarle attraverso il lavoro? Penso ad esempio alle donne vittime di violenza.
  • Milano città del buon lavoro, perché alla fine di tutto, questo capitolo è indirizzato a pratiche relative alla legalità, alla sicurezza sul lavoro, agli stipendi.

Come si sta sviluppando il Patto? Che risposte avete avuto?

I mesi sono pochi, sono solo sei, però alcune azioni probabilmente più facili da mettere in piedi sono già state avviate. Un esempio che mi sta particolarmente a cuore, da donna, è il progetto di mentorship al femminile, cioè la possibilità che delle donne nelle posizioni apicali dei loro settori – ristorazione, impresa, moda, design, editoria, economia – possano affiancare delle giovani ragazze nel corso di incontri raccontando come sono arrivate in quelle posizioni apicali, supportandole nel dire innanzitutto una cosa semplice: io ce l’ho fatta, ce la puoi fare anche tu.

Che non è una cosa così banale come può sembrare, perché ce lo dicono sia le Nazioni Unite sia il governo: molto spesso le ragazze, specie in materie ingegneristiche, economiche e simili, non si mettono in gioco, non ci provano neanche. Invece qui si può dire: stai tranquilla, ce la puoi fare.

Questo progetto è aperto a ragazze dai 16 ai 30 anni, riguarda pertanto una fase della vita in cui si iniziano a fare delle scelte: cosa studio, cosa faccio da grande? Che mestiere intraprendo? Oppure coinvolge chi ha già dei percorsi professionali ma comincia anche ad avere una vita personale, una famiglia, dei figli e quindi si trova nel dubbio: adesso di cosa mi occupo? Posso permettermi di fare un figlio o devo guardare alla carriera?

A luglio di quest’anno avete messo a punto la macchina complessiva: chiunque – impresa, singolo cittadino, associazione, fondazione – voglia fare qualcosa insieme può chiedervi di dare una mano a mettere in piedi dei servizi o dei progetti. Qual è stata la risposta?

Questo è molto interessante, abbiamo avuto richieste soprattutto da fondazioni e associazioni. Faccio un esempio: abbiamo firmato un protocollo per quanto riguarda l’apertura di sportelli lavoro nei centri donna e nei centri antiviolenza, quindi per supportare attraverso il lavoro quell’indipendenza economica che serve a una donna innanzitutto per denunciare ma poi a ripartire. È una delle famose azioni messe in atto che arrivano da un rapporto tra le associazioni (Action Made in quel caso), le case famiglia e i municipi. Uno di questi sportelli per il lavoro lo abbiamo aperto da poco all’interno del municipio, quindi anche con la collaborazione degli enti locali e delle strutture proprio più vicine al territorio in senso stretto, che sono le più piccole.

A settembre hanno partecipato al vostro patto anche gli artigiani e le piccole imprese di Milano, poi avete lanciato un bando da 1,2 milioni per sostenere con la Camera di Commercio progetti che possono essere finanziati in buona parte o a fondo perduto con prestiti agevolati.

Il progetto va dagli ottomila ai 60mila euro, quest’ultima cifra per la rigenerazione urbana dei quartieri, in particolare le periferie. Per rigenerare un quartiere sicuramente devono arrivare (e funzionare) le infrastrutture, devono arrivare i trasporti, il welfare, quindi i servizi, la cultura e lo sport. Al pari di tutti c’è un elemento che molti si scordano e che invece è fondamentale per creare le relazioni di quel quartiere: il commercio in senso ampio, quindi anche l’artigianato, certo, ma soprattutto il commercio, la possibilità di fare impresa, far nascere un ristorante, far nascere un’edicola. Ci sono una serie di bandi per creare impresa: tu cittadino, che sai che in quel quartiere manca un servizio ma anche un prodotto e vuoi fare impresa, ti finanzio e ti supporto con dei contenuti per dirti come si fa impresa, per quello c’è la scuola dei quartieri, una struttura che lo insegna. Quelli di crowdfunding civico sono invece progetti già in essere dove una quota parte a fondo perduto la finanzia il comune ma il resto del finanziamento arriva da donazioni di singoli cittadini di venti, trenta euro, che aiutano a costruire quell’attività del quartiere.

Milano è storicamente la città dell’inclusione. Qualcuno la può vedere anche come una città delle disuguaglianze, dove i primi sono molto primi ma gli ultimi sono molto ultimi. Come vive questo problema nella sua esperienza politica?

In una città grande come Milano il tema delle disuguaglianze è il primo, vero problema che si pone all’amministrazione pubblica e a chi fa politica. C’è un tema enorme che è quello, ad esempio, del costo della vita, in particolare ho visto una ricerca che diceva che è la città più cara d’Italia con le case più care d’Italia. Non possiamo permetterci di escludere un ceto medio che poi è quello produttivo.

Per chi è più in una situazione di fragilità, lo dicevamo prima, c’è un capitolo che si chiama Milano città di rilancio. Serve proprio per questo, perché lo spirito ambrosiano è quello di accogliere, di supportare e di accettare tutti quanti e di aiutare tutti in una crescita condivisa sostenibile.