Scenari

Auto e moto, la Valle del Tubo cerca nuove vie d’uscita

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di Alessandro Misson

Non sarà la Motor Valley dell’Emilia Romagna, ma nella “Valle del Tubo” di Teramo, con le sue quattro aziende principali da 865 milioni di euro di fatturato e circa 1.400 addetti, si produce la maggior parte delle marmitte e della componentistica ad alta tecnologia per impianti di scarico delle auto europee. Principalmente per il gruppo Stellantis, Volkswagen, Mercedes, con un collegamento diretto con Sevel, la più grande fabbrica di veicoli commerciali leggeri d’Europa, con sede ad Atessa, e con le moto di Honda, Bmw e Ducati.

Dopo alcuni mesi di shock per l’approvazione della direttiva europea che ha portato alla definizione dell’obiettivo “Fit For 55”, anche queste piccole e medie aziende dell’automotive teramano, tremila addetti compreso l’indotto, hanno iniziato a fare i conti con la transizione dal motore endotermico a quello elettrico. Interrogandosi sul loro destino e sulle drastiche conseguenze che la neutralità ecologica sta già portando sia nel sistema di produzione sia nel mercato del lavoro metalmeccanico.

Dal 2035 in tutta Europa non si potranno più vendere auto e furgoni a motore endotermico. Dal 2030 scatteranno disincentivi sulla produzione di veicoli a motore endotermico. Entro il 2050 verrà raggiunta la neutralità climatica, con l’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica del traffico stradale. In questi tre traguardi è scritto il destino della marmitta della Valle del Tubo, che non serve più sulle auto elettriche e sui furgoni leggeri, ma resterà residuale solo nella produzione di camion, macchinari agricoli e da cantiere alimentati ad e-fuel.

Il “Fit for 55” ha già avuto drastiche conseguenze in uscita dalla pandemia Covid 19, con la maggior parte delle case automobilistiche europee che dall’oggi al domani hanno semplicemente messo fuori listino parte delle produzioni premium, sostituendole con nuovi prodotti o equivalenti elettrici. Si pensi al marchio Smart di Mercedes, o Stellantis con Fiat 500, ma anche a Volkswagen con la serie Id.

Per la Valle del Tubo e la sua eccellenza produttiva ciò ha comportato un immediato taglio delle commesse tra il 7 e il 20%.

Più difficile ancora fare previsioni di medio e lungo termine, quando cioè i listini saranno occupati per la maggior parte da modelli a batteria. E avverrà molto, molto prima del 2035, anche se ci fossero resistenze alla transizione ecologica.

Per questo motivo, poco prima di Natale, Confindustria, istituzioni, lavoratori si sono dati appuntamento a Teramo, tra le prime città d’Italia a discutere pubblicamente del tema, per confrontarsi ad un convegno organizzato dal segretario della Fim-Cisl Marco Boccanera sulle previsioni e le prospettive del mercato locale, per provare a tracciare un futuro dell’automotive teramano tra paure e opportunità.

Le paure sono note: per componenti e tecnica l’auto elettrica è estremamente più semplice da produrre. Complessità minore significa meno metalmeccanici necessari, ma soprattutto scomparsa di lavori ultraspecializzati, come quelli collegati alla marmitta. L’auto elettrica impegna solo il 25% dei lavoratori necessari per le motorizzazioni che andranno in soffitta.

Nella vallata del medio Tordino, tutte nel Comune di Castellalto, c’è l’azienda GLM, di proprietà del fondo Star Capital, 360 dipendenti, leader mondiale nella produzione sia di pressure pipe, tubi in pressione che riciclano i fumi degli impianti di scarico, sia di ganci e staffe con gommini per fissare gli impianti di scarico alle scocche; c’è la U-Form, dei gruppi Susta – Tiberina, 170 dipendenti, che a dieci anni dall’insediamento è diventata leader di mercato nell’hot stamping, lo stampaggio a caldo con taglio laser dei principali componenti in lamiera delle autovetture; c’è la PCM del Gruppo P&C Automotive, cento dipendenti, che stampa marmitte per una produzione al 70% europea; c’è infine la Purem, piccola ma attivissima azienda di 80 dipendenti diretta dal presidente della neonata Confindustria Automotive, Marco Matteucci, che aumenta esponenzialmente il fatturato ogni anno producendo soprattutto componentistica per motori endotermici.

Dal proficuo e consolidato rapporto che in provincia di Teramo c’è sempre stato tra il sindacato Cisl, il più rappresentativo tra i metalmeccanici, e Confindustria sono emersi alcuni spunti interessanti.

La parola chiave è riconversione. Non solo nelle produzioni attuali, che resteranno residuali nel futuro trasporto pesante, ma soprattutto nel loro contenuto tecnologico e culturale. Visto che il mercato delle batterie è e resterà a lungo saldamente nelle mani del colosso Cina, il futuro della piccola e media impresa dell’automotive come quella della “valle del Tubo” è l’investimento in formazione sui dipendenti. Che nel futuro saranno sempre meno metalmeccanici e sempre più tecnici, che si tratti di produttori di componenti tecnologiche per autovetture oppure d’installatori.

Il futuro è letteralmente adesso. Ecco perché sindacati e imprenditori chiedono alla politica di non perdere tempo sulla “neutralità tecnologica” (salvaguardia del motore a scoppio a scapito dell’introduzione del “Fit for 55”) in opposizione alla “transizione ecologica”, ma di investire concretamente, adesso, sulla formazione della generazione di addetti dell’automotive che produrrà l’auto elettrica.

«Imprese e lavoratori pronti alla sfida, ora tocca alla politica»

Uliano (Fim Cisl): serve un piano nazionale per la riconversione delle produzioni. E subito: in tutta Italia a rischio 75mila posti

A rassicurare i rappresentanti sindacali delle fabbriche e i dipendenti abruzzesi (23mila addetti in tutta la Regione, 7,5 miliardi di euro di fatturato che valgono il 15% del Pil regionale e il 55% di export) nel convegno teramano è intervenuto il responsabile nazionale automotive della Fim Cisl, Ferdinando Uliano. Opporsi alla transizione all’elettrico – per il segretario Cisl – non solo è inutile, ma anche dannoso, perché si rischia di perdere altro tempo necessario per salvare almeno 75mila posti di lavoro in tutta Italia, soprattutto quelli legati alla produzione del motore, i più a rischio. Con imprenditori e lavoratori già pronti alla sfida della transizione, il sindacato chiede un piano nazionale di transizione alla politica.

Sull’auto elettrica non ci sarà più bisogno di marmitte, ma sempre più di dispositivi ad alto tasso di tecnologia che gli attuali lavoratori possono produrre o assemblare: hi-fi, navigatori satellitari, allarmi, sensori, hardware, dispositivi di sicurezza, di assistenza alla guida, componentistica, software, ma anche nuove filiere industriali, come quelle per il recupero e la rigenerazione di componenti tecnologiche e digitali dalle autovetture usate, a partire dai materiali di scarto. «Sia il governo Draghi che il governo Meloni hanno utilizzato circa 650 milioni l’anno per incentivare l’acquisto di auto elettriche. Le risorse non possono però essere destinate solo agli incentivi – ribadisce Uliano – ma, come continuiamo a ripetere da tempo come sindacato, vanno messe a terra per favorire la riconversione delle produzioni. L’auto elettrica è un rischio se restiamo fermi. Abbiamo bisogno di nuove produzioni, nuovi componenti e nuovi prodotti per l’auto del futuro». Solo in questo modo l’auto elettrica potrà rispettare la previsione delle istituzioni europee: cioè l’opportunità di aumentare del 6% i posti di lavoro una volta completata la transizione.