Scenari

Federico Bosco: prezzi e bollette

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di Federico Bosco (giornalista) 

L’invasione russa dell’Ucraina ha causato la più grande ondata di instabilità sui mercati dell’energia dai tempi della crisi petrolifera degli anni settanta. Dopo un anno così difficile, imprese e famiglie si chiedono cosa può succedere: se il peggio è passato, se ci saranno abbastanza forniture di petrolio e gas naturale e, soprattutto, a che prezzo. La risposta è che i mercati europei dell’energia ora sono più stabili, ma non ancora al sicuro.

Fino all’anno scorso la Russia era il terzo produttore mondiale di petrolio dopo Stati Uniti e Arabia Saudita. Quasi il 60 per cento dei prodotti petroliferi russi venivano comprati dai Paesi europei e dalla Turchia, il 20 per cento dalla Cina. Nel corso del 2022 questi legami si sono spezzati gradualmente e i principali importatori di greggio degli Urali sono diventati India, Cina e Turchia; una nuova geografia delle esportazioni petrolifere russe che resterà tale anche nel 2023.

Tutto ciò ha portato a una crescita dei prezzi del petrolio, che da marzo a settembre ha visto le quotazioni di Brent e Wti superare i 100 dollari al barile con picchi di 120-130 dollari. Ma il mercato del petrolio è un mercato aperto, con tanti fornitori e una grande capacità produttiva “dormiente” che non può essere nascosta agli operatori di mercato.

Quest’estate era difficile immaginare che a dicembre i prezzi sarebbero scesi sotto gli 80 dollari, ma il sistema ha dimostrato di essere in grado di adattarsi.

Nel 2023 è possibile che un aumento della domanda cinese provochi una nuova impennata dei prezzi, ma i produttori sono in grado di soddisfarla e sia la Cina sia l’Arabia Saudita (leader dell’Opec) vogliono la stabilità dei mercati.

Pertanto, pur essendo un gigante del settore, Mosca non ha il potere di manipolare i mercati petroliferi come ha fatto con il gas.

La guerra ha fatto emergere tutte le vulnerabilità del matrimonio energetico tra la Russia e i paesi europei che facevano affidamento sulla false sicurezze offerte dal gas russo – prima del 2020 le quotazioni alla borsa di Amsterdam (il famigerato Ttf) oscillavano intorno ai 20 euro al megawattora (MWh). Mosca ha dimostrato tutta la sua determinazione a usare il gas come arma, riducendo o tagliando ad arte i volumi che transitano nei gasdotti che connettono l’Ue ai giacimenti di Gazprom.

Ciò nonostante gli europei hanno fatto miracoli. Nel 2021 il 40 per cento del gas importato dall’Ue veniva dalla Russia, ad agosto 2022 era il 17,2 per cento. Tutto questo però ha avuto costi altissimi, durante l’estate le quotazioni al Ttf sono arrivate a superare i 300 euro al MWh portando le bollette ad aumenti stratosferici. Il rialzo dei prezzi è stato causato anche dalla corsa degli Stati membri a riempire gli stoccaggi in vista dell’inverno, che essendo molto mite finora ha tenuto bassa la domanda per i riscaldamenti riportando le quotazioni relativamente in equilibrio (intorno ai 120 euro al MWh).

Ma il peggio non è passato. Nei prossimi mesi il gas degli stoccaggi verrà consumato e partirà la corsa agli acquisti per riempirli di nuovo. L’accordo sul price cap a 180 euro al MWh aiuta ma contiene solo i rialzi più violenti, come quello di agosto-settembre di quest’anno. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, se la Russia porterà a zero le forniture l’Ue dovrà trovare circa 27 miliardi di metri cubi di gas, una quantità pari al 40 per cento del consumo annuale italiano. La soluzione passa per l’aumento della capacità di importare gas naturale liquefatto (Gnl), che essendo trasportato via mare permette di accedere a un mercato più vasto, ma anche più costoso, e da quest’anno in grande fermento.

La fine del matrimonio energetico tra Europa e Russia infatti ha rivoluzionato il commercio globale di Gnl mettendo in campo nuovi attori, come gli Stati Uniti, dotati di grandi riserve. Durante i primi cinque mesi di quest’anno il 64 per cento delle esportazioni di Gnl statunitense è andata nell’Ue e nel Regno Unito coprendo circa il 47 per cento della domanda europea di Gnl, seguiti dal 15 per cento importato dal Qatar e dal 14 cento della Russia (che esporta anche Gnl); e dal restante 17 per cento fornito da quattro paesi africani.

Entrare nel mercato globale del Gnl impone la costruzione di nuove relazioni, forse meno pericolose di quelle con Mosca, ma non meno complicate come stiamo vedendo con le implicazioni del Qatargate. Inoltre, anche aumentando la capacità di importare Gnl si stima che il mercato rimarrà “tirato” fino al 2026, quando Stati Uniti e Qatar avranno aumentato a sufficienza la loro capacità produttiva per soddisfare la domanda europea. Ciò significa che nel gas non c’è stato l’adattamento che porterà a una tregua dei prezzi troppo elevati, e considerando che un Paese come l’Italia avrà meno spazio di manovra per fornire aiuti economici a famiglie e imprese, sul fronte energetico il 2023 sarà un anno ancora più impegnativo.