Scenari

L’Italia s’è desta con la diplomazia energetica

Scritto il

di Paolo Della Sala

L’Italia s’è desta? No, se guardiamo alla burocrazia, finora non intaccata da nessuno, incluso il governo di Giorgia Meloni. Se però si pensa alle iniziative estere, forse qualcosa sta cambiando. Parliamo dei due blitz sull’energia in Algeria e Libia, e delle intese tra Giorgia Meloni e il presidente egiziano Al-Sisi, seguite da nuove scoperte all’interno di una concessione di 1.800 chilometri quadrati al largo del Sinai, condivisa tra Eni e Chevron.

Il “piano Mattei” – a differenza dei piani “predatori” di altre nazioni, come li ha definiti Giorgia Meloni (il riferimento d’amblé va a Cina e Francia) – propone all’Africa uno scambio alla pari. L’ad dell’Eni, Claudio Descalzi, lo ha sintetizzato così:

Noi non abbiamo energia, loro ce l’hanno. Noi abbiamo un grande sistema industriale, loro lo stanno sviluppando. C’è una grande complementarietà.

Eni in questi anni di latenza sul fronte mondiale è stata la nostra arma migliore, non solo nel campo dell’energia. In Algeria il risultato è evidente: l’Italia ha ottenuto una fabbrica per le nuove Vespa e un impianto Fiat-Stellantis in grado di produrre 90mila auto all’anno: siglate intese anche nei settori aerospazio e navale.

Ma l’incontro di Algeri significa soprattutto logistica per gas e idrogeno in grado di farci diventare un hub dell’energia per l’Europa. Importante anche l’accordo da 8 miliardi sulle infrastrutture del gas tra Italia e Libia, nazione certo instabile come l’isola Ferdinandea. Le intese di Tripoli lasciano comunque indietro Francia e Turchia, e forse anche la Russia installata a Bengasi, se Al-Sisi si deciderà a ridimensionare il generale Haftar. Non dimentichiamo, inoltre, il lavoro diplomatico svolto da Eni in Congo, Mozambico, Costa d’Avorio in questi anni: se il modello non predatorio sarà realizzato, potremo avere soddisfazioni economiche ed etiche per l’Italia.

Lo stesso avviene nell’area compresa tra Moldavia e i Balcani, dove ciò che si propone a Paesi in cerca di un ascensore verso il cielo del progresso si basa sull’interscambio commerciale, sulla realizzazione di infrastrutture e sulla crescita delle industrie locali, in sinergia col nostro sistema produttivo.

Il ministero degli Esteri, col supporto dell’Ice, il 21 marzo gestirà a Belgrado il “Business Forum Italia-Serbia”.  L’iniziativa è stata preparata da un incontro tra il ministro Antonio Tajani e il presidente serbo Aleksandr Vucic. L’Italia è il terzo partner commerciale di Belgrado.

Il business forum vedrà in prima fila le aziende italiane internazionalizzate, dalle quali dipendono commesse anche per la nostra rete di PMI. I settori su cui si concentreranno gli operatori saranno la transizione “green” con le relative infrastrutture; l’agritech, incluse macchine agricole e produzione di alimenti su cui l’Italia ha un eccellente know how; le grandi reti dei trasporti. Iniziative analoghe si stanno sviluppando in altre nazioni balcaniche, tanto che si può parlare di una «Iniziativa per i Balcani».

In Africa, come nel sudest europeo, abbiamo la concorrenza francese (l’export di Berlino ha canali categorizzati e impermeabili), ma le capacità di soft power di Parigi sono diminuite sul piano del commercio. Il presidente Macron si concentra piuttosto sul contesto ucraino, dove è stato l’unico a ipotizzare una fornitura di caccia all’aviazione ucraina. La voglia di “grandeur” francese può rendere l’Italia più importante in Europa? Sarebbe singolare per una leader che si voleva nazionalista e che finora si è dimostrata – al più – democristiana.

Una seconda considerazione va fatta. A prescindere dai continui scontri destra-sinistra, utili più a orientare l’opinione pubblica che a sviluppare cultura ed economia, l’avvio di iniziative attive nelle aree extra Ue più vicine all’Italia potrebbe annullare una lunga fase di politica estera subatomica, scoordinata e dormiente, per giunta priva di cognizioni su come si governi la geopolitica nel mondo globalizzato.

Questa ignavia è purtroppo frutto della crisi di identità post 1989 del Pci prima e poi del Pd. L’incapacità di fare scelte tra post capitalismo e post comunismo si è poi riverberata su tutti gli schieramenti, sulla cultura e la religiosità. Per trent’anni i governi, i sindacati dei lavoratori e quelli delle imprese hanno pagato questo ritardo sui mercati globali e su quelli di prossimità.

Ci siamo provincializzati, illusi che il turismo fosse il nostro petrolio. In realtà il turismo massificato post covid porta pochi vantaggi: per gli studenti della Bocconi c’è l’esodo all’estero nord oppure l’apertura di un sushi bar. La gentrificazione e l’overtourism sono un disastro acclarato ovunque: occorre creare un turismo meno invasivo, anche perché questo fa salire il costo dei servizi sui residenti e pesa molto sull’ambiente costiero.

La reindustrializzazione hi tech, amica dell’ambiente e sprovincializzata, rimane il fulcro del rilancio del commercio internazionale e di conseguenza anche della pace, che nasce in primo luogo dal libero commercio e non dai monopoli, come nel caso Ue-Russia.