Scenari

Mondiali di calcio: più che lo sport potè il business

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di Claudio Brachino

Mazzini, andiamo subito al dunque. C’è gente che sfida la morte, quelli che non hanno cantato linno iraniano, e c’è gente, noi occidentali, che per un cartellino giallo rinunciamo alla fascia One love, contro lomosessualità discriminata in Qatar.

I Mondiali in Qatar hanno alla base un doppio equivoco.

Primo: la decisione della Fifa di andarli a giocare a qualunque costo in un piccolo paese del Medioriente nonostante il Qatargate, il più grande scandalo dello sport professionistico (300 milioni di tangenti pagate).

Secondo: la pretesa “politica” che il Qatar si uniformi in tutto e per tutto al modo di ragionare occidentale. Da aggiungere poi l’esposizione mondiale che, comunque, ha l’evento e che favorisce manifestazioni di dissenso politico forti. È il caso dei giocatori della nazionale iraniana che non cantano, coraggiosamente, l’inno ma vengono fischiati dai propri tifosi. Q

uello islamico è un mondo complesso. La voglia matta del Qatar di imporsi come paese leader riguarda soprattutto il mondo arabo. L’emiro Al Thani ci tiene a far bella figura soprattutto con 400 milioni di arabi. Per questo impedire fasce arcobaleno ed esposizione di altri simboli sui “diritti” che vigono in Occidente ma sono considerati offensivi nel mondo islamico, va a favore del Qatar. Gli emiri, insomma, fanno brutta figura con noi ma non con il loro mondo religioso.  La sensazione è che stavolta la quadra tra affari e presentabilità sia dura da trovare.

Nonostante il prologo di Morgan Freeman con un disabile il tema dei diritti mi sembra che sovrasti per ora quelli strettamente pallonari… I Mondiali hanno costituito per il Qatar un’assicurazione sulla vita durata dieci anni. L’esposizione mediatica della preparazione di quest’evento ha garantito la sopravvivenza del Qatar come stato indipendente nonostante le tensioni che si sono sviluppate nell’area nell’ultimo decennio. Questa operazione ha permesso lo sviluppo di modernizzazione del paese e la conclusione di affari milionari.

Ne hanno beneficiato anche le imprese italiane che in questi anni hanno operato a Doha per realizzare le “grandi opere” volute dall’emiro per trasformare il Qatar. Si pensi alla nuovissima metropolitana. Tra le imprese produttrici anche la nostra Impregilo. Per non parlare della costruzione degli otto stadi del Mondiale dove sono state impegnate molte società italiane.

Anche il rifacimento dell’Aeroporto Hamad è stato all’insegna del Made in Italy. Certo il prezzo da pagare è stato altissimo in termini di vite umane (6500 morti per Amnesty International). Leggi per la sicurezza sul lavoro sono state introdotte nel paese solo nell’ultimo periodo la cui applicazione è tutta da dimostrare.

Nel tuo libro racconti linizio certo non trasparente di questa avventura. E forse il tema è tutto lì…

La Coppa del Mondo in Qatar sarà ricordata per quella con più polemiche della storia. E vedremo se l’idea iniziale di promuovere l’immagine dell’Emirato a livello planetario con il Mondiale raggiungerà i suoi scopi o se si ritorcerà contro Doha.

Ripercorriamo la storia della clamorosa assegnazione del torneo sportivo più importante del mondo. Tutto inizia il 2 dicembre 2010 quando, a Zurigo, la Fifa convoca i 24 membri dell’esecutivo per l’assegnazione dei Mondiali del 2018 e 2022. Si presentano solo in 22 perché i rappresentanti di Tahiti e Nigeria sono preventivamente sospesi per presunta corruzione. Per il Mondiale 2018 sono candidate Inghilterra (favorita), Russia e le accoppiate Spagna-Portogallo e Olanda-Belgio. Per il 2022 sono in corsa Stati Uniti (favoriti), Corea del Sud, Australia, Giappone e l’outsider Qatar. Nella prima sessione bastano due votazioni alla Russia per sbaragliare la concorrenza e assicurarsi l’organizzazione del primo mondiale della sua storia.

Più complessa la votazione per il 2022. Al primo turno si rivela subito fortissimo il Qatar che prende 11 voti. Seguono Corea e Giappone con 4, agli Stati Uniti solo 3. Eliminata l’Australia (un voto). Al secondo scrutinio esce di scena il Giappone con sole due preferenze mentre il Qatar scende a dieci voti ma sempre il doppio dei rivali Usa e Corea fermi a quota 5. Si va alla terza votazione. Gli Stati Uniti salgono a 8 voti, pochi per battere il Qatar che vince con 14. Un politico navigato come Joseph Blatter, padre padrone della Fifa, quando annuncia l’assegnazione dei Mondiali agli emiri ha il volto terreo.

Sa fin troppo bene di avere adesso due nemici mortali. L’Inghilterra e i suoi giornali, gli Stati Uniti e l’FBI. Passano poche settimane e scattano indagini e inchieste. Nel 2015, dopo 17 anni di dominio sul calcio mondiale, l’era Blatter finisce. Con una spettacolare operazione la polizia elvetica, su mandato dell’FBI, arresta a Zurigo sette alti dirigenti della Fifa. Erano stati convocati per l’ennesima rielezione di Blatter.

Lo scandalo è enorme. Si parla di 300 milioni di tangenti per l’assegnazione dei Mondiali al Qatar. La valanga travolge anche Michel Platini presidente dell’Uefa. Sarebbero stati i voti europei a permettere la vittoria del Qatar. Gli scandali si susseguono per anni ma il Mondiale resta all’Emirato.

Il calcio non è solo sport, da sempre è sociale e politica. Stavolta mi sembra che oltre le ragioni del business ci sia poco, anche lidea di promuovere questo sport in zone del mondo meno scontate mi sembra fragile.

L’idea di promuovere il calcio in tutte le zone del mondo attraverso l’organizzazione di grandi eventi come il Mondiale è una fissazione della Fifa. Con due vantaggi: la possibilità di trovare stati con grandi ricchezze che possono essere investite nello sport. E, da non sottovalutare, la facile corruttibilità delle Federazioni in piccoli paesi come dimostrato dal Qatargate.

Questo va tutto a discapito della qualità della manifestazione. Molte delle squadre all’opera in Qatar non sono all’altezza della competizione. E il prossimo Mondiale, fortemente voluto dalla Fifa a 48 squadre, fa presagire un ulteriore scadimento del gioco, ma non di quello del business. La Coppa del 2026 si giocherà in tre stati americani: Usa, Canada e Messico.

Il Messico è un paese vittima di una corruzione endemica con i narcotrafficanti che costituiscono un antistato. Negli Stati Uniti la democrazia è da tempo malata con il paese che ha rischiato la guerra civile. Il Canada sembra stare meglio ma si tratta di un paese comunque marginale nello scacchiere occidentale. In 32 giorni si giocheranno 80 partite. Le squadre europee saranno 16 e le sudamericane sei. Il resto sarà costituito da rappresentative dell’Africa, dell’Oceania e del Nord America.

Quanto è costato allItalia, economicamente, non essere lì? Alla fine ci appassioneremo al rigore non dato o alle prodezze dei talenti rimuovendo – non dimenticando – tutto il resto?

Il Mondiale d’inverno appassionerà gli italiani anche senza gli Azzurri ma sarà certamente diverso dal passato. Difficile prevedere il danno economico che subirà il sistema paese per l’esclusione della squadra di Mancini. C’è un precedente, purtroppo, a cui fare riferimento. L’esclusione da Russia 2018 ci era costata qualcosa come 100 milioni di euro, cifra che verrà superata.

Il danno riguarda, oltre al mondo del calcio che con una vittoria azzurra avrebbe potuto guadagnare 40 milioni di euro, tutto l’indotto di editoria, merchandising, bar, ristoranti, elettronica, tv, scommesse e turismo. L’impoverimento di immagine del nostro calcio riguarda anche il numero dei praticanti oggi: poco più di un milione, ma quasi centomila ragazzi, in questi ultimi anni, hanno appeso le scarpe al chiodo o hanno smesso di indossarle.