Scenari

Papa Ratzinger e le due visioni del cristianesimo

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di Paolo Della Sala

Gli articoli e i commenti pubblicati dopo la morte del Papa emerito Joseph Ratzinger (scomparso lo scorso 31 dicembre) hanno omesso alcuni particolari.

Si ricorda la lunga guerra dottrinale, “politica” e culturale in corso da decenni nel Vaticano, con le sue inevitabili ricadute sulle società mondiali. Ma non si discute sulle conseguenze sociali e geopolitiche del relativismo, verso il quale certo Benedetto XVI non fu incline. La guerriglia interna alla chiesa cattolica si svolge in un pianeta pieno di governi tirannici. Per non parlare delle teocrazie musulmane all’opera in Iran e Afghanistan. La formula relativista del dialogo interreligioso si è dimostrata impotente di fronte ai conflitti. Benedetto XVI ha rivendicato il primato dei principi sul relativismo nel discorso di Ratisbona del 2006, centrato sulle differenze tra le democrazie laico-cristiane e le teocrazie islamiche e la jihad. Al contrario il “pacifismo” di papa Francesco, di fronte all’invasione russa dell’Ucraina, sostenuta dal patriarcato di Mosca, e di fronte alle infamie delle teocrazie, si è mostrato più impotente.

L’alleanza tra fede e ragione era fondamentale per il teologo Joseph Ratzinger, a patto di unire alla ragione un pensiero non algoritmico, ovvero la “pazzia della fede”, di cui scrive l’apostolo Paolo di Tarso.

Nei confronti delle nuove guerre la chiesa si è spaccata. I mass media mainstream hanno diffuso un’idea di “pace” che ha confuso le guerre di Stalin, Hitler o Putin con la resistenza di chi si oppone alle aggressioni, e così l’opinione pubblica è diventata una statua di sale. Ieri i giovani della Resistenza, o George Orwell che partiva volontario per difendere la repubblica spagnola, sapevano distinguere il bene dal male. Oggi invece, come scrive Vito Mancuso in Etica per giorni difficili, abbiamo rovesciato il senso originario del romanzo più famoso di Lev Tolstoj, pensandolo come se il titolo fosse Guerra «o» pace e non Guerra «e» pace.

Però il mondo non può riconquistare il giardino dell’Eden e la pace universale. Sostenerlo, come fa anche una parte del cristianesimo, è andare contro il messaggio dei Vangeli: se non fai la pace con Dio, come puoi pretendere di fare pace con te stesso, col tuo prossimo, con un’altra nazione? Questa è la domanda da porre a ogni cristiano.

I due papi “separati in casa” hanno però indicato una strada: senza un nuovo umanesimo non possono sussistere spiritualità e ricerca del significato delle cose. Senza profondità vivremmo su una superficie piatta come la Flatlandia di Edwin Abbott. Converrà quindi cercare di tenere unite le due visioni per migliorare il rapporto tra Vaticano e le società mondiali, mentre sempre meno fedeli frequentano le chiese e crolla il numero delle vocazioni sacerdotali (-28% dal 2009 al 2019).

Occorre però rinnovare il patto cristiano con la laicità del “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Il teologo cattolico René Girard sosteneva che la vita di Cristo fu dedita a porre fine alle religioni organizzate, il che presuppone una Chiesa priva di clero ex cathedra e meno “politica”, come indicavano il pietismo tedesco e la “Chiesa invisibile” del protestante italiano Giuseppe Petrelli.

Di sicuro una Chiesa la cui dottrina economica è simile a quella del Serge Latouche autore del “Trattato sulla decrescita felice” e di “Come sopravvivere allo sviluppo non potrebbe combattere la povertà”. Come affrontare quindi i temi che il mondo pone alla fede cristiana? Di fronte alla libertà di culto limitata dei cristiani di Siria e della Turchia deve tornare il silenzio della chiesa immersa nei totalitarismi, oppure servirebbe un nuovo papa Wojtyla?

La chiesa agonizza anche in Cina, dove vi è una pesante ingerenza del governo sulle nomine dei prelati. È anche fallito il tentato riavvicinamento tra il papato e l’ortodossia, soprattutto dopo la “statalizzazione” putiniana della chiesa russa.

Infine, la geopolitica sociale del papato insiste nel mantenere il sistema dell’immigrazione attuale nel Mediterraneo, che produce morti e nuovi poveri in Europa, col sistema dei trafficanti e delle Ong. Sono da preferire invece i corridoi umanitari di cui si occupano già – ma con poche forze – lo stesso Vaticano e le chiese protestanti. Ratzinger forse avrebbe imposto un cambio netto di direzione rispetto a un’opinione pubblica e governi europei silenti e impotenti come un sepolcro. Sempre parlando di emigrazione di masse povere, il cattolicesimo riformista dovrebbe meditare sui fallimentidella Teologia della Liberazione in America latina dove si è vista un’emigrazione di massa dal cattolicesimo ai movimenti evangelici protestanti.

Ma come tener lontana la politica dalla Santa Sede, dopo che i social anni fa attaccarono Benedetto XVI con dicerie sul presunto rapporto omosessuale tra il papa-teologo e il suo assistente Georg Gaenswein? Forse questo attacco si è scatenato perché veniva additato da alcuni media come “tradizionalista”. Ma non per questo era lecito cercare di distruggere la sua persona.

A costoro Ratzinger rispose dimettendosi. Chi lo ha accusato in maniera apocrifa dovrebbe pensare a questioni di più alto livello, come rispondere alla domanda: «Può esistere una vita al cui termine ci sia la stessa paga (la polvere) per chi ha causato il male così come per chi ha prodotto il bene?».