Sostenibilità

Bottoli pioniere delle lane naturali e autarchiche

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di Dino Bondavalli

I loro tessuti sono scelti dalle più esclusive Maison del lusso. Da Etro a Ballantyne, da Missoni all’icona della moda d’avanguardia giapponese Junya Watanabe, per le proprie creazioni più originali optano, infatti, per la lana e il cashmere del Lanificio Bottoli.

Eppure, questa realtà alla quale i direttori creativi di tutto il mondo si rivolgono quando vogliono uscire dagli schemi senza rinunciare alla qualità, è una piccola azienda famigliare con una trentina di dipendenti, unica sopravvissuta in quello che una volta era lo storico distretto laniero di Vittorio Veneto (TV).

Oggi guidato da Roberto ed Ettore Bottoli, rispettivamente quarta e quinta generazione nell’impresa fondata nel 1861 per commerciare coperte e panni, il lanificio rappresenta una vera eccezione in un mondo sempre più dominato da grandi gruppi che spesso puntano ai numeri piuttosto che all’originalità di un prodotto.

«Da quando mio nonno, nel 1946, ha stabilito la sede dove siamo ancora oggi, siamo sempre riusciti a competere e sopravvivere in un mercato in costante evoluzione grazie alla capacità di offrire qualcosa che nessun altro aveva pensato di fare e che gli altri non riuscivano a replicare», spiega Ettore Bottoli, che prima di entrare nell’azienda di famiglia si è fatto le ossa nel mondo della moda, lavorando tra gli altri per il gruppo Belstaff. «Mio padre ha avuto l’intuizione di fare tessuti di alta qualità decisamente più fantasiosi di quelli dei principali concorrenti, che sono stati una chiave di successo per portare avanti l’azienda, ma anche quella di avviare il progetto delle lane italiane».

Un’idea al limite del rivoluzionario una ventina di anni fa, quando il concetto di chilometro zero e Greta Thunberg non avevano ancora avuto i natali. «Lo ha fatto all’inizio degli anni Duemila, quando, incompreso dai più, lanciava sul mercato tessuti nel solo colore del vello di pecore nazionali: all’epoca nessuno ne comprendeva l’esigenza perché si potevano avere prodotti più convenienti da altre parti del mondo», ricorda Bottoli. «Eppure, oggi che la moda sta già ragionando su quelle che saranno le collezioni per l’inverno 2023/2024, i nostri tessuti naturali rappresentano quasi il 70% dei campioni che ci vengono richiesti e vengono apprezzati maggiormente quelli che valorizzano il patrimonio ovino italiano (allevato nelle Marche, in Abruzzo e in Molise)».

Non solo. In molti Paesi, a partire dal Giappone, il fatto di aver trattato tessuti naturali ben prima che fossero una moda «ci ha dato una credibilità enorme, che è quella che deriva dall’essere riconosciuti come pionieri», spiega Bottoli, la cui azienda esporta circa il 70% della produzione, con mercati principali in Europa, Giappone e Corea del Sud.

«In questo momento abbiamo circa 400 clienti attivi, molti dei quali ci scelgono perché siamo in grado di proporre qualcosa di unico. Siamo uno dei rarissimi lanifici rimasti che partono dalla lana per arrivare al tessuto finito, e questo ci consente di essere molto richiesti anche per i tessuti sperimentali, ora molto ricercati, visto che il cliente di lusso è un po’ stufo di articoli che vede uguali a Parigi, Londra, New York o Tokyo, e preferisce prodotti di nicchia non alla portata di tutti».

Le ultime frontiere della ricerca

L’ultima creazione sono i tessuti naturali tinti con una tecnica che consente di riutilizzare i fondi del caffè, progetto realizzato in collaborazione con Dersut, storica torrefazione di Conegliano (Treviso). Ma le proposte che hanno fatto del Lanificio Bottoli il punto di riferimento a livello internazionale per chi cerca tessuti di qualità ecologici e innovativi sono molte di più.

Se fin dalle origini l’azienda ha privilegiato l’utilizzo di fibre naturali quali lana, seta, lino, canapa e cotone, negli ultimi anni si è infatti specializzata nella ricerca di fibre naturali innovative. Nelle collezioni hanno così trovato posto tessuti realizzati con filati di fibre caseiniche derivate dal latte e con derivati dalle alghe marine, ma anche in viscosa di legno di gelso e persino in abaca (detta canapa di Manila), una fibra tessile molto resistente.

Quanto alle tinture naturali, «stiamo utilizzando anche il legno di campeggio e stiamo studiando tante altre possibilità, con l’idea di proporre ogni anno qualcosa di nuovo», spiega Ettore Bottoli.